Dal consenso all’applicazione del sistema di retribuzione a cottimo non deriva a carico del lavoratore un concorso di colpa nell’aver cagionato le malattie di asserita origine professionale, da cui afferma di essere affetto

Tribunale di Trento Sezione Lavoro Sentenza 24/2/2024 n 36 Giudice Dott. Giorgio Flaim
Sentenza in sintesi:
L’imprenditore ha l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei lavoratori, in base al parametro della più elevata sicurezza tecnologica, condannato un imprenditore di una cava di porfido per le malattie professionali cagionate al dipendente a causa della movimentazione manuale di carichi
testo della sentenza:

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N. R.G. 118/2022

REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO
sezione lavoro
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella persona fisica del magistrato dott.
Giorgio Flaim pronunzia la seguente
S E N T E N Z A
nella causa per controversia in materia di lavoro promossa con ricorso depositato in data 3.3.2022
d a
xxx
rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Guarini
pec giovanni.guarini@pec.it
ricorrente
c o n t r o
yyy
rappresentata e difesa dall’avv. Filippo Valcanover
pec avvfilippovalcanover@recapitopec.it
convenuta


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e
c o n l a c h i a m a t a i n c a u s a
di
ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY
rappresentata e difesa dall’avv. Mirko Arena
pec mirko.arena@ordineavvocatipadova.it
chiamata in causa
CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE
“Accertare e dichiarare la responsabilità di yyy in merito al
sinistro occorso al signor xxx indicato in narrativa;
condannare la convenuta al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non
patrimoniali subiti e subendi dal dipendente quantificati nella somma di € 68.916,09 e
comprensiva di rivalutazione ed interessi alla data odierna- o nelle diverse somme
maggiori o minori che vorrà quantificare l’Ill.mo Tribunale;
in ogni caso condannare la yyy, in persona del legale
rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese del presente giudizio ed oneri di
legge aumentate fino al 30% Decreto Ministero, Giustizia, 08/03/2018 n° 37 oltre 15%,
CNAP e IVA con distrazione agli scriventi difensori patroni antistatari”
CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA
“Nel merito,
in via principale:
rigettare il ricorso perché infondato per i motivi tutti di cui in narrativa;
in subordine:

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accertata e dichiarato la condotta della convenuta quale concausa sopravvenuta della
malattia professionale, per i motivi di cui in narrativa, ridurre il quantum richiesto a
titolo di risarcimento alla somma ritenuta di giustizia;
in subordine:
nella denegata ipotesi di condanna della presente convenuta, in tutto o in parte,
accertare e dichiarare la terza chiamata Zurich Insurance Plc Rappresentanza
Generale per l’Italia con sede legale in Milano, via Benigno Crespi, 23, Intermediario
Grendene Ass.ni snc giusta polizza n. 056A7115 ramo 17, in persona del legale
rappresentante, tenuta nei limiti del massimale di polizza a manlevare la società
yyy per quanto essa risulti tenuta a pagare al ricorrente a titolo
risarcitorio, nonché in punto spese giudiziali nei limiti di cui all’art. 1917 commi 3 e
4”
CONCLUSIONI DI PARTE TERZA CHIAMATA
“Nel merito,
in via principale:
previo accertamento dei fatti di cui all’odierno contendere, rigettarsi ogni domanda
avanzata per qualsivoglia ragione o titolo nei confronti della resistente in quanto
infondata in fatto ed in diritto;
in via subordinata:
previo accertamento dei fatti di cui all’odierno contendere, nella denegata ipotesi di
accoglimento delle domande di parte ricorrente, dichiararsi l’intervenuta prescrizione
ex art. 2952 c.c. del diritto alla manleva azionato dalla resistente yyy
nei confronti di Zurich Insurance P.L.C.;
in via di ulteriore subordine:

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previo accertamento dei fatti di cui all’odierno contendere, nella denegata ipotesi di
accoglimento delle domande di parte ricorrente e nell’ulteriormente denegata ipotesi in
cui dovesse ritenersi infondata la predetta eccezione di prescrizione, accertarsi la non
operatività della polizza n. 056A7115, e conseguentemente rigettarsi le domande svolte
in via di manleva nei confronti di Zurich Insurance P.L.C. in quanto infondate, anche
ex art. 1914 - 1915 c.c.;
in via di ulteriore subordine:
previo accertamento dei fatti di cui all’odierno contendere, nella denegata ipotesi di
rigetto di tutte le conclusioni che precedono, limitarsi comunque il diritto alla manleva
azionato dalla resistente yyy nei confronti di Zurich Insurance P.L.C.
a quanto risulterà effettivamente dovuto al ricorrente in esito all’espletanda istruttoria,
detraendo altresì da tale ammontare le somme già erogate e/o da erogarsi da parte di
I.N.A.I.L., oltre che secondo gli scoperti, le esclusioni e le franchigie di cui al contratto
di assicurazione”
MOTIVAZIONE
le domande proposte dal ricorrente
Il ricorrente xxx –
premesso:
 di aver lavorato dal 17.6.1991 al 20.4.2015 alle dipendenze della società cedente
yyy e dal 21.4.2015 al 7.8.2020 alle dipendenze della
società cessionaria odierna convenuta yyy con inquadramento
nel livello E CCNL per i lavoratori dipendenti delle Aziende esercenti le attività di
escavazione e lavorazione dei materiali lapidei, così come integrato dal CCPL per i
lavoratori del porfido della provincia di Trento, e con mansioni di operaio manovale

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addetto alla cernita e prima lavorazione, presso la cava di porfido in località
Montegorsa – lotto n. 3 del Comune d Albiano,
 di avere, in costanza del suddetto rapporto, lavorato solitamente dalle 7,00 alle 12,
con una pausa di 15-20 minuti, e dalle 13,00 alle 17,00, con una pausa di 15-20
minuti;
 che le mansioni da lui espletate consistevano ne:
i) lo sfaldamento, fino al 2008-2009 a terra, successivamente su un bancone alto
circa 80 cm, con mazze dal peso di 8 e 10 kg, nonché con una mazzetta dal peso
di 2 kg, del materiale grezzo (di media dieci blocchi di porfido al giorno,
corrispondenti a circa 150-200 kg.), che veniva così ridotto in lastre di diverse
dimensioni e dal peso variabile tra i 15-20 kg e 70-80 kg;
ii) la movimentazione manuale di ciascun lastra al fine di trasferirla fino al 2008-
2009 da terra su un bancale (pallet), distante circa un metro e mezzo,
successivamente, ad eccezione delle lastre riconducibili al prodotto “mosaico
gigante” (con diagonale media di almeno 40 cm, dallo spessore variabile da 2 a 7
cm e dal peso variabile da 75 a 100 kg), dal bancone di lavorazione alto 80 cm. in
benne poste alle spalle del ricorrente, a una distanza di un metro e mezzo dal
ricorrente, e dotate di sollevatore meccanico in modo da consentire, mediante
sollevamento del peso e torsione del busto, la movimentazione della lastra
all’altezza costante di 80 cm;
 che secondo la “certificazione prodotto di qualità yyy” (doc. 4 fasc. ric.) la
produzione standard dell’impresa di yyy prevedeva le seguenti tipologie di
“lastre mosaico”:
 mosaico normale: diagonale media di almeno 20 cm, spessore da 2 a 5 cm. Peso
indicativo 75 kg/m2

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 mosaico sottile: diagonale media di almeno 20 cm, spessore da l a 3 cm. Peso
indicativo 50 kg/m2
 lastrame medio da lavorazione: diagonale media di 30 cm, spessore da 3 a 7 cm.
 gigante da posa: diagonale media di almeno 40 cm, spessore da 3 a 7 cm. Peso
indicativo 100 kg/m2
 gigante sottile: diagonale media di almeno 40 cm, spessore da 2 a 4 cm. Peso
indicativo 75 kg/m2;
inoltre era prescritto che “la lavorazione del tout venant di cava deve avvenire
cercando di sfruttare al massimo il materiale, ossia creare il prodotto più grande
possibile”;
ne desume che tale documento “prevede espressamente che le misure ed il peso delle
lastre non debbano essere inferiori a 40 cm di diagonale e peso di 100 kg”.
 che le società datrici avevano omesso, in violazione dell’art. 168 d.lgs.9.4.2008, n. 81
e delle previsioni di cui all’allegato XXXIII a detto d.lgs., di adottare le seguente
misure idonee a prevenire l’insorgenza delle malattie professionali lamentate (così
sintetizzando le deduzioni svolte dal ricorrente, piuttosto alla rinfusa, nell’atto
introduttivo a pag. 7, 10 e 11):
 selezionare per il ricorrente del materiale un po’ più piccolo, lasciando invece agli
operai più giovani e senza problemi fisici il materiale più grosso;
 allungare le pause già previste o inserirne di ulteriori;
 diminuire il numero dei pezzi lavorati al giorno;
 ridurre le misure dei pezzi lavorati;
 imporre e controllare che gli operai sfaldatori effettuassero in coppia la
movimentazione dei carichi;

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inoltre soltanto nel 2008-2009 erano stati introdotti i bancali di lavorazione alti 80
cm. e i sollevatori idraulici (peraltro non per l’imbancalatura del mosaico gigante).
 di non essere mai stato ripreso dai superiori perché sollevava da solo pesi troppo
elevati di materiale o perché produceva troppo materiale al giorno e troppo pesante
 di essere stato assente dal lavoro nel periodo 8 agosto – 22 settembre 2017 per
epicondilite destra e nel periodo 25 settembre – 15 dicembre 2017 per dolore arto
superiore dx, cervico - brachialgia bilaterale, sospetta sindrome del tunnel carpale,
 di aver contratto, in ragione delle svolgimento delle mansioni alle dipendenze della
dante causa della società convenuta e di quest’ultima, le seguenti malattie:
 tendinopatia bilaterale cuffia dei rotatori spalla dx e sx, con minima
disfunzionalità dolorosa delle rotazioni,
 epicondilite calcifica gomito dx e sx ed epitrocleite calcifica gomito dx e sx,
 sindrome di De Quervain pollice dx con minimo inceppo funzionale,
 esiti chirurgici di intervento di sindrome da tunnel carpale dx con minimi
disturbi sensitivi,
 protrusioni discali multiple con lombalgia cronica da posture incongrue e
sovraccarico funzionale –
propone nei confronti della società convenuta yyy domanda di
risarcimento:
1)
del danno non patrimoniale:
 danno biologico temporaneo per 20 giorni al 75%, per 50 giorni al 50% e per 30
giorni al 25%;

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 danno biologico permanente del 15% oltre a personalizzazione del 33,33% per
cenestesi lavorativa e per danno dinamico-relazionale eccezionale, con detrazione
del capitale afferente all’indennizzo per danno biologico erogato dall’I.N.A.I.L.;
 danno morale temporaneo e permanente pari al 25% del danno biologico
temporaneo e del danno biologico permanente liquidati;
2)
del danno patrimoniale emergente, costituito dal costo per l’assunzione delle “spese vive”
sub doc. 13 fasc. ric.;
le ragioni della decisione
§1 il dovere di sicurezza in capo al datore di lavoro
L’ordinamento, se da un lato attribuisce al datore di lavoro il potere di organizzazione e
direzione dell’attività d’impresa (art.2086 cod.civ.), dall’altro gli impone il dovere di
“adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro” (art. 2087 cod.civ., ma nel più ampio quadro
costituzionale di cui agli artt. 32 e 35 Cost. alla luce dei quali è stata elaborata la nozione
del “dovere di sicurezza” correlato ad un diritto della personalità riconosciuto, come
garanzia apprestata a favore di chi esplica attività lavorativa, grazie al rilievo
costituzionale attribuito alla salute, da un lato, ed al lavoro, dall’altro).
Secondo orientamenti consolidati (ex plurimis Cass. 24.2.2022, n. 6156; Cass. 9.9.2021,
n. 24408; Cass. 18.6.2021, n. 175761
; Cass. 25.2.2021, n. 5255; Cass. 20.11.2020, n.

1 La quale ha perspicuamente statuito: “Al proposito, è altresì da osservare che la dottrina e la
giurisprudenza più attente hanno sottolineato come le disposizioni della Carta costituzionale abbiano
segnato, anche nella materia giuslavoristica, un momento di rottura rispetto al sistema precedente "ed
abbiano consacrato, di conseguenza, il definitivo ripudio dell'ideale produttivistico quale unico criterio cui
improntare l'agire privato", in considerazione del fatto che l'attività produttiva - anch'essa oggetto di

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tutela costituzionale, poiché attiene all'iniziativa economica privata quale manifestazione di essa (art. 41
Cost., comma 1) - è subordinata, ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, alla utilità sociale che
va intesa non tanto e soltanto come mero benessere economico e materiale, sia pure generalizzato alla
collettività, quanto, soprattutto, come realizzazione di un pieno e libero sviluppo della persona umana e
dei connessi valori di sicurezza, di libertà e dignità.
Da ciò consegue che la concezione "patrimonialistica" dell'individuo deve necessariamente recedere di
fronte alla diversa concezione che fa leva essenzialmente "sullo svolgimento della persona", sul rispetto di
essa, sulla sua dignità, sicurezza e salute anche nel luogo nel quale si svolge la propria attività lavorativa;
momenti, tutti, che "costituiscono il centro di gravità del sistema", ponendosi come valori apicali
dell'ordinamento.
E ciò, anche in considerazione del fatto che la mancata predisposizione di tutti i dispositivi di sicurezza al
fine di tutelare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro viola l'art. 32 Cost., che garantisce il diritto alla
salute come primario ed originario dell'individuo, nonché le disposizioni antinfortunistiche, fra le quali
quelle contenute nel D.Lgs. n. 626 del 1994 - attuativo, come è noto, di direttive Europee riguardanti il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nello svolgimento dell'attività lavorativa - ed
altresì il D.Lgs. n. 81 del 2008 e l'art. 2087 c.c., il quale ultimo, imponendo la tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore da parte del datore di lavoro, prevede un obbligo, da parte dello stesso, che non si
esaurisce "nell'adozione e nel mantenimento perfettamente funzionale di misure di tipo igienico-sanitarie
o antinfortunistico", ma attiene - lo si ribadisce - anche, e soprattutto, alla predisposizione "di misure atte,
secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità
nell'ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati
direttamente, ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio".
Tale interpretazione estensiva della citata norma del codice civile si giustifica alla stregua dell'ormai
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., già da epoca risalente, Cass. nn.
8422/1997; 7768/1995), sia in base al rilievo costituzionale del diritto alla salute, sia per il principio di
correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto obbligatorio - artt. 1175 e 1375 c.c., disposizioni
caratterizzate dalla presenza di elementi "normativi" e di clausole generali (Generalklauseln) -, cui deve
essere improntato e deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro, sia, infine, "pur se
nell'ambito della generica responsabilità extracontrattuale", ex art. 2043 c.c., in tema di neminem laedere.
Ed al riguardo, questa Corte ha messo, altresì, in evidenza, già da epoca non recente, che, in conseguenza
del fatto che la violazione del dovere del neminem laedere può consistere anche in un comportamento
omissivo e che l'obbligo giuridico di impedire l'evento può discendere, oltre che da una norma di legge o
da una clausola contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività, a tutela
di un diritto altrui, è da considerare responsabile il soggetto che, pur consapevole del pericolo cui è
esposto l'altrui diritto, ometta di intervenire per impedire l'evento dannoso”.
In dottrina si è perspicuamente osservato che “la normativa elaborata in ambito comunitario in materia di
sicurezza nell'ambiente di lavoro… ha impresso indubbiamente un'accelerazione dirompente o, meglio,
come altri hanno rilevato, ha avuto l'effetto di un vero e proprio «movimento tellurico» - con epicentro a
Bruxelles - sulla «vecchia» normativa prevenzionistica italiana, a lungo saldamente ancorata ai caposaldi
dei decreti degli anni Cinquanta”.
La materia afferente alla sicurezza e alla salute è cosi diventata “il terreno più avanzato di sperimentazione
delle tecniche di «armonizzazione coesiva», disegnando uno dei capitoli principali del diritto del lavoro
comunitario. In particolare, a far tempo dall'introduzione nel Trattato, ad opera dell'Atto Unico europeo,
dell'art. 118 A (ora art. 138) - norma-cardine per la materia che qui ci interessa - non solo viene affermato
in via generale l'impegno degli Stati membri ad adoperarsi per promuovere il miglioramento dell'ambiente
di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori, fissando come obiettivo l'armonizzazione, in
una prospettiva di progresso, delle condizioni esistenti in tale settore, ma si prevede soprattutto un'efficace
strumentazione per perseguire tali obiettivi, attribuendo al Consiglio la possibilità di adottare direttive a
maggioranza qualificata, con la salvaguardia per gli Stati membri delle condizioni di maggior favore.
Dunque, se l'origine di una vera e propria politica comunitaria quanto alla materia in esame si può fissare
nella seconda metà degli anni Settanta (con il primo «programma di azione» in materia di sicurezza ed

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26512; Cass. 6.11.2019, n. 28516;) l’art. 2087 cod. civ. costituisce la norma di chiusura
del sistema normativo antinfortunistico, della quale le disposizioni che impongono delle
cautele particolareggiate costituiscono una specificazione.
Quindi la responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a
tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o,

igiene nel lavoro adottato nel 1978, cui fece seguito la prima direttiva quadro n. 1107/1980), è con la
direttiva quadro n. 89/391/CEE che si è realizzato un deciso salto di qualità: infatti, la disciplina
comunitaria adottata sino al 1989 tendeva ad orientare le politiche prevenzionali in senso quasi
esclusivamente oggettivo, con l'attenzione rivolta prevalentemente agli aspetti tecnologici più che ai fattori
di rischio di carattere soggettivo, ed era improntata al criterio della reasonable practicability (cioè della
massima sicurezza «ragionevolmente praticabile») più che a quello, notoriamente «assestato» nel nostro
ordinamento, della massima sicurezza «tecnologicamente possibile» e, dunque, non suscettibile di
compromessi in nome di un contenimento dei costi aziendali.
La direttiva quadro n. 89/391 segna un importante punto di svolta ed esprime una nuova concezione, già
anticipata peraltro dal terzo «programma d'azione» adottato il 21 dicembre 1987, con cui la Comunità
aveva esplicitato l'obiettivo di giungere sì ad una armonizzazione tecnica delle regole di sicurezza
applicabili alle attività lavorative, ma aveva anche posto un particolare accento sull'esigenza di assicurare
l'informazione, la formazione e la consultazione dei lavoratori, con un significativo rilievo per i profili
soggettivi della prevenzione: detto orientamento seguito dalla citata direttiva - che segna altresì un
allontanamento dal criterio della reasonable practicability, per imboccare la strada della massima
sicurezza tecnologicamente possibile - risulta evidente dal Preambolo, laddove si legge che «... il
miglioramento della sicurezza, dell'igiene e della salute dei lavoratori durante il lavoro rappresenta un
obiettivo che non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico».
Questo «nuovo corso» comunitario aperto dalla direttiva n. 89/391 si fonda - come rilevato in dottrina - su
una serie di «metaprincipi», diretti sia ad indirizzare la normativa comunitaria «di dettaglio» (le c.d.
direttive «figlie» …), sia ad individuare dei principi inderogabili, comunque da rispettarsi ad opera delle
diverse legislazioni nazionali di attuazione.
Tra di essi, devono richiamarsi l'obbligatoria generalizzazione delle strategie di prevenzione,
l'affermazione di una nozione «integrale» di salute (comprensiva cioè del benessere fisico, psichico, ma
anche, lato sensu, «organizzativo» ed ambientale, con considerazione peculiare ed attenta riservata ai
potenziali effetti negativi per la salute dello stress, della ripetitività e della monotonia del lavoro), la
volontà di realizzare una politica delle relazioni industriali dell'ambiente di lavoro (
(affidando un ruolo
centrale, nella gestione della prevenzione, anche ai lavoratori ed ai loro rappresentanti, mediante la
previsione di articolati diritti di informazione, formazione, consultazione e «partecipazione equilibrata»),
il collegamento organico tra tutela dell'ambiente di lavoro e tutela dell'ambiente «esterno».
La normativa comunitaria in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro si propone dunque di
diffondere tra gli imprenditori europei una nuova concezione: la sicurezza sul lavoro deve essere percepita
come un investimento a lungo termine e non come un semplice «costo», da sommarsi - in maniera più o
meno «rassegnata» da parte dei datori di lavoro - a tutti gli altri oneri gravanti sull'impresa”.
Il recepimento delle indicazioni comunitarie nel nostro sistema normativo, è stato operato con il D.Lgs. n.
626/94, che ha trasposto nel nostro ordinamento la direttiva quadro n. 391 del 12 giugno 1989 e sette
direttive “figlie”, tra cui la direttiva 29.5.1990, n. 90/2069 CEE relativa alle prescrizioni minime di
sicurezza e salute concernenti la movimentazione manuale dei carichi che comporta tra l'altro rischi dorsolombari per i lavoratori

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nell'ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale ex art. 2087
cod.civ., che è estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e
valutate dal legislatore al momento della sua formulazione e che impone all'imprenditore
l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, avuto riguardo alla
particolarità del lavoro, in concreto, svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare
l'integrità psico-fisica dei lavoratori, in base al parametro della più elevata sicurezza
tecnologicamente possibile e non già a quello della sicurezza ragionevolmente praticabile
alla luce dei costi aziendali (il legislatore ha recepito questo orientamento con l’art. 4
co.5, lett. b) d.lgs. 626/1994 e più recentemente con l’art. 18 co.1, lett. z) d.lgs. 81/2008,
disponendo che il datore di lavoro è tenuto ad “aggiornare le misure di prevenzione … in
relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione”).
Infatti la struttura dell’art. 2087 cod.civ. è elastica e, quindi, aperta, quale clausola
generale, ai mutamenti economico-sociali, adattandosi alle evoluzioni del progresso
tecnico e scientifico. Tale norma è destinata a trarre dalla Costituzione nuova linfa e
potenzialità espansive, svolgendo una funzione sussidiaria delle misure protettive
specifiche, che rappresentano lo standard minimale richiesto dal legislatore per la tutela
della sicurezza del lavoratore, ma non possono prevedere ogni fattore di rischio e, quindi,
devono essere integrate alla luce delle peculiarità del caso concreto, affinché sia garantito
il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi, mentre la
tutela dell'iniziativa economica privata deve essere limitata quando questa ponga in
pericolo la sicurezza e la salute del lavoratore (come è stato posto in rilievo dalla Corte
costituzionale nelle sentenze n. 399 del 1996 e n. 58 del 2018).
Ad avviso della Suprema Corte (ex multis Cass. S.U. 12.3.2001, n.99; Cass.
S.U.14.12.1999, n. 900; Cass. 19.10.2018, n. 26495; Cass. 8.10.2018, n. 24742; Cass.

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4.5.2018, n. 10578;), inerendo l’obbligo ex art.2087 cod.civ. al rapporto di lavoro
subordinato, la sua violazione integra un inadempimento contrattuale.
Tuttavia, sempre secondo la Suprema Corte (Cass. 27.6.2011, n. 14107; Cass.
11.11.2003, n. 16947; Cass. 20.6.2001, n. 8381; Cass. 26.10.1995, n. 11120;), ciò non
esclude che, qualora siano lesi diritti spettanti alla persona indipendentemente dal
contratto, concorra, in base al precetto generale del neminem laedere, anche l’azione
extracontrattuale di responsabilità ex art.2043 cod.civ. (con diverso regime in ordine
all’onere della prova – nella contrattuale il debitore danneggiante deve provare
l’adempimento o la causa a lui non imputabile che ha reso impossibile la prestazione,
nella extracontrattuale il danneggiato deve provare gli elementi sia oggettivi che
soggettivi dell’illecito – e in ordine al termine prescrizionale – decennale nella
contrattuale, quinquennale nella extracontrattuale).
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. S.U. 4.5.2004,
n. 8438; Cass. S.U. 4.11.1996, n. 9522; Cass. S.U. 2.8.1995, n. 8459;) si deve ritenere
esercitata soltanto l’azione extracontrattuale tutte le volte in cui non emerga una precisa
scelta del danneggiato in favore dell’azione contrattuale, avendo egli chiesto
genericamente il risarcimento del danno senza dedurre una specifica obbligazione
contrattuale;
di contro va considerata proposta anche l’azione di responsabilità contrattuale qualora la
domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull’inosservanza, da parte del datore
di lavoro, di una precisa obbligazione scaturente dal contratto di lavoro.
Nel caso in esame ricorre certamente la seconda ipotesi in quanto il ricorso contiene
specifici riferimenti all’obbligazione scaturente dal contratto di lavoro subordinato per
effetto dell’art. 2087 cod.civ. (espressamente a pag. 2, 8 e 11).

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§2 la distribuzione degli oneri probatori
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte tradizionale (ex multis, anche
di recente, Cass. 8.10.2018, n. 24742; Cass. 4.2.2016, n. 2209; Cass. 29.1.2013, n. 2038;
Cass. 17.2.2009, n. 3788; Cass. 7.3.2006, n. 4840; Cass. 20.2.2006, n. 3650;), in tema di
responsabilità ex art. 2087 cod.civ., incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a
causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di
tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro nonché il nesso di causalità fra
l'una e l'altro; solo ove tale prova venga fornita sorge la responsabilità a carico del datore
di lavoro in relazione al suddetto danno, e il conseguente onere di provare l'avvenuta
adozione di tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno alla salute dei
propri dipendenti.
Solo in tempi piuttosto recenti la Suprema Corte ha chiarito il significato della locuzione,
atecnica e piuttosto equivoca, “provare la nocività dell’ambiente di lavoro”;
infatti Cass. 12.6.2015, n. 12241 ha statuito (evidenziazione dello scrivente):
“Allegare e provare la nocività dell'ambiente di lavoro significa che dalla fonte
dell'obbligo altrui, che il creditore di sicurezza invoca, deve scaturire l'indicazione del
comportamento che il debitore avrebbe dovuto tenere, nel senso che dalla descrizione
del fatto materiale deve quanto meno potersi evincere una condotta del datore contraria
o a misure di sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa che le
individua concretamente, ovvero a misure di sicurezza che, sebbene non individuate
specificamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema dell'art. 2087
c.c..”.
Quindi la Suprema Corte, pur conservando la locuzione “allegare e provare la nocività
dell’ambiente di lavoro”, in realtà sembra allinearsi a quelle pronunce (Cass. 26.6.2009,

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n. 15078; Cass. 13.8.2008, n. 21590;), le quali hanno già ritenuto che anche in
riferimento all’obbligazione di sicurezza ex art. 2087 cod. civ. trovi applicazione
l’orientamento delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 30.10.2001, n. 13533;) in tema di prova
dell’inadempimento di un’obbligazione ex art. 1218 cod.civ., secondo le quali il creditore
che agisce per il risarcimento del danno deve soltanto provare la fonte (negoziale o
legale) del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza
dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere
della prova o dell’insussistenza dell’obbligazione o del suo fatto estintivo, costituito
dall'avvenuto adempimento (ciò alla luce sia del principio della presunzione di
persistenza del diritto, desumibile dall'art. 2697 cod.civ., in virtù del quale, una volta
provata dal creditore l'esistenza di un diritto, grava sul debitore l'onere di dimostrare
l'esistenza del fatto estintivo, costituito dall'adempimento, sia del principio di riferibilità
o di vicinanza della prova, in forza del quale la prova dell'adempimento, fatto estintivo
del diritto azionato dal creditore, spetta al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la
prova diretta e positiva dell'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di
azione).
Lo conferma il richiamo che Cass. 12241/2015 cit. fa a Cass. S.U. 11.1.2008, n. 577,
secondo cui, ai fini del riparto dell'onere probatorio, il danneggiato attore, quale
creditore, deve limitarsi a provare il sinistro nella sua oggettività, l’insorgenza o
l'aggravamento della patologia ed il nesso causale tra i due elementi nonché ad allegare
l'inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato (e non
qualunque inadempimento), rimanendo a carico del presunto danneggiante (quale
debitore) dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo,
esso non è stato eziologicamente rilevante).

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Di conseguenza, come ha statuito Cass. 21590/2008 cit., (sempre evidenziazioni
scrivente): “La responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 cod. civ. ha
natura contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta
integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo
di sicurezza (art. 2087 c.c.) (Cass. 25 maggio 2006 n. 12445), che entra così a far parte
del sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella
domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore si
pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle
obbligazioni (Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184). La regola
sovrana in tale materia, desumibile dall'art. 1218 cod. civ., è che il creditore che agisca
per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del
suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione; a tale scopo egli
può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della
controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il
proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile
(Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza
delle sezioni civili di questa Corte successiva: ex plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n.
22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743). Nell'applicare tali
fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in
particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da
infortunio sul lavoro, questa Corte ha ritenuto, ad es., in caso di infortunio provocato
dall'uso di un macchinario, che il lavoratore deve provare il nesso causale tra uso del
macchinario ed evento dannoso, restando gravato il datore di lavoro dell'onere di
dimostrare di avere osservato le norme stabilite in relazione all'attività svolta, nonché

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di avere adottato, ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità del
lavoratore (Cass. 1 ottobre 2003 n. 14645, Cass. 28 luglio 2004 n. 14270);
analoga soluzione in caso, ad es., di caduta accidentale di operaio edile da palazzo in
costruzione, dove nessuno sostiene che tocchi al lavoratore provare l'inadempimento del
datore di lavoro all'obbligo di sicurezza nell'apprestamento delle opere provvisionali. La
formulazione che si rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il
lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del
datore di lavoro all'obbligo di sicurezza (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184, Cass. 11 aprile
2006 n. 8386, Cass. 25 maggio 2006 n. 12445, Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, 19 luglio
2007 n. 16003) non appare conforme al principio enunciato dalle Sezioni Unite (e con
l'applicazione coerente che ne ha fatto questa Sezione Lavoro nei casi sopra citati), e
non può pertanto più essere seguita.
Il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilità oggettiva
ex art. 2087 cod. civ., nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di
una somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore, ai sensi
dell'art. 1218 cod. civ.. La colpa del danneggiante è essenziale per qualsiasi tipo di
responsabilità civile…”;
analogamente Cass. 15078/2009 cit. ha ulteriormente precisato, sempre con specifico
riferimento alla responsabilità ex art. 2087 cod.civ., che “ai sensi dell'art. 1218 c.c., in
linea con quanto affermato in generale nell'interpretazione di tale norma codicistica da
Cass. S.U. 30 ottobre 2001 n. 13533 nonché secondo quanto applicato nello specifico
dalla giurisprudenza recente di questa sezione (cfr. Cass. 13 agosto 2008 n. 21590),
grava sul lavoratore l'onere di dedurre e provare l'esistenza della obbligazione
lavorativa, del danno e del nesso di causalità tra quest'ultimo e la prestazione mentre il
datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e

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pertanto di avere adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le
misura per evitare il danno”.
In definitiva il peculiare contributo fornito da Cass. n. 12241/2015 cit. è costituito dalla
precisazione che l’inadempimento, che il lavoratore creditore ha l’onere di allegare, non
può essere un inadempimento qualsiasi, ma deve essere un inadempimento astrattamente
idoneo a provocare il danno lamentato, nel senso che dalla descrizione del fatto
materiale, che egli ha l’onere di effettuare, deve potersi evincere una condotta del datore
contraria o a misure di sicurezza espressamente imposte da una disposizione normativa
che le individua concretamente, ovvero a misure di sicurezza che, sebbene non
individuate specificamente da una norma, siano comunque rinvenibili nel sistema
dell’art. 2087 cod.civ..
Più di recente una pronuncia (Cass. 6.11.2019, n. 28516) – richiamando l’orientamento
(Cass. 26.4.2017, n. 10319; Cass. 2.7.2014, n. 15082; Cass. 25.5.2006, n. 12445;),
secondo cui gli oneri a carico di ciascuna delle parti devono essere modulati a seconda
che le misure di sicurezza siano espressamente e specificamente definite dalla legge o da
altra fonte ugualmente vincolante, in relazione a una valutazione preventiva di rischi
specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 cod.civ., che impone
l'osservanza del generico obbligo di sicurezza – ha statuito che:
nel primo caso grava sul lavoratore l’onere di allegare la violazione della misura di
prevenzione nominata, in cui consiste, a suo dire, l’inadempimento del datore, mentre la
prova liberatoria incombente sul datore consiste nel dimostrare l’inesistenza dei fatti
allegati dal lavoratore;
nel secondo caso grava sul lavoratore l'onere di allegare la violazione dei canoni di
diligenza, prudenza e perizia, in cui consiste la colpa generica, specificando i concreti
fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa,

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mentre la prova liberatoria incombente sul datore consiste nel provare di aver adottato
comportamenti specifici, che, sebbene non individuati dalla legge, sono suggeriti da
conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o
trovino riferimento in altre fonti.
Qualora la causa della mancata attuazione dell’obbligo di sicurezza rimanga ignota, il
sistema della distribuzione degli oneri probatori, ponendo a carico del datore di lavoro
danneggiante l’onere di provare (o l’adempimento o) che l’inadempimento sia dovuto a
causa a lui non imputabile, prescrive che le conseguenze patrimoniali negative restino a
carico del debitore oggettivamente inadempiente danneggiante (Cass. 17.2.2014, n. 3612;
Cass. 3.2.2011, n. 2559;) e, quindi, nel caso di danno astrattamente derivante dalla
mancata attuazione dell’obbligo di sicurezza, a carico del datore di lavoro (Cass.
24.2.2006, n. 4184).
In definitiva, alla luce di questi insegnamenti, può sinteticamente concludersi che:
A)
sul lavoratore infortunato e/o ammalato, che agisce a tutela del diritto alla sicurezza ex
art. 2087 cod.civ., nonché sui suoi aventi causa, grava l’onere:
1)
di provare l’esistenza:
(a) del titolo contrattuale da cui scaturisce l’obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod.civ.,
(b) del danno subito,
(c) del nesso causale tra lo svolgimento della prestazione lavorativa e il danno,
nonché
2)
di allegare i fattori di rischio ai quali era esposto in ragione delle modalità della
prestazione lavorativa e l’inadempimento del datore di lavoro astrattamente idoneo a

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provocare il danno lamentato, consistente nella violazione o della misura di prevenzione
nominata o dei canoni dei canoni di diligenza, prudenza e perizia, in osservanza dei quali
il datore è tenuto a salvaguardare l'integrità psico-fisica dei lavoratori;
B)
sul datore di lavoro presunto danneggiante (e sui soggetti titolari di posizioni di garanzia)
grava l’onere di dimostrare o che i fattori di rischio allegati dal lavoratore non
sussistevano e, quindi, nessun inadempimento dell’obbligo di sicurezza vi è stato o di
aver adempiuto tale obbligo, o osservando le misure di prevenzione nominate o
adottando comportamenti che, sebbene non specificati dalla legge, sono suggeriti da
conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati o
trovino riferimento in altre fonti, vale a dire che l’eventuale danno non è riconducibile al
suo inadempimento, oppure che l’eventuale inadempimento non è stato eziologicamente
rilevante nella produzione del danno o che le prestazioni in cui consisteva l’adempimento
sono divenute impossibili per causa a lui non imputabile.
Qualora la causa dell’inadempimento astrattamente idoneo a provocare il danno
lamentato dal lavoratore danneggiato rimanga ignota, il datore di lavoro danneggiante
non ha assolto gli oneri probatori a suo carico e quindi risponde del risarcimento di quel
danno.
§3 i fatti consistenti la vicenda concreta oggetto della presente controversia
A) gli oneri probatori a carico del ricorrente
(a)
E’ incontestato che il ricorrente xxx ha lavorato dal 17.6.1991 al
20.4.2015 alle dipendenze della società cedente yyy e dal
21.4.2015 al 7.8.2020 della società cessionaria odierna convenuta yyy

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s.r.l., con inquadramento nel livello E CCNL per i lavoratori dipendenti delle Aziende
esercenti le attività di escavazione e lavorazione dei materiali lapidei, così come integrato
dal CCPL per i lavoratori del porfido della provincia di Trento, e con mansioni di operaio
manovale addetto alla cernita e prima lavorazione, presso la cava di porfido in località
Montegorsa – lotto n. 3 del Comune d Albiano.
Quindi egli è stato certamente titolare del credito di sicurezza ex art. 2087 cod. civ. nei
confronti della società cedente yyy fino al 20.4.2015 e
successivamente verso la società cessionaria odierna convenuta yyy
E’ appena il caso di evidenziare che degli effetti di eventuali inadempimenti ascrivibili
alla società cedente yyy risponde (anche) la società
cessionaria odierna convenuta yyy in ragione della successione ex
art. 2112 cod.civ. nel rapporto di lavoro.
(b)
Quanto alla dimostrazione del danno subito, il ricorrente ha prodotto, sebbene alla
rinfusa, documentazione medica attestante:
 assenze dal lavoro per malattia nel periodo 8 agosto – 22 settembre 2017 per
epicondilite destra (doc. 23) e nel periodo 25 settembre – 15 dicembre 2017 per
dolore arto superiore dx, cervico - brachialgia bilaterale, sospetta sindrome del tunnel
carpale (doc.22);
 riconoscimento, da parte di I.N.A.I.L., di menomazioni permanenti all’integrità psicofisica nella misura del 9%, per patologia degenerativa delle spalle, sindrome del
tunnel carpale bilaterale ed epicondilite ai gomiti (doc. 7);
 consulenza medica di parte (doc. 9 e 10), redatta dal dott. D’Ignazio sulla base delle
risultanze di esami specialistici nonché di cartelle sanitarie e del rischio redatte dal
medico competente, secondo cui il ricorrente è affetto da tendinopatia bilaterale cuffia

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dei rotatori spalla dx e sx, con minima disfunzionalità dolorosa delle rotazioni,
epicondilite calcifica gomito dx e sx ed epitrocleite calcifica gomito dx e sx, sindrome
di De Quervain pollice dx con minimo inceppo funzionale, esiti chirurgici di
intervento di sindrome da tunnel carpale dx con minimi disturbi sensitivi, protrusioni
discali multiple con lombalgia cronica da posture incongrue e sovraccarico
funzionale, determinanti menomazioni permanenti all’integrità psico-fisica nella
misura del 15% (doc. 9 e 10);
Si tratta di circostanze che, sebbene necessitino, per assumere valore di prova, di un
accertamento mediante c.t.u., rappresentano significativi indizi della sussistenza di
lesioni temporanee e permanenti, per effetto di malattie, all’integrità psico-fisica del
ricorrente.
Quindi, salvo restando l’esito della c.t.u., può ritenersi che il ricorrente abbia assolto, per
quanto era nelle sue possibilità, l’onere, a suo carico, di provare, almeno nell’an, la
sussistenza di danni risarcibili costituiti da menomazioni temporanee e permanenti
all’integrità psico-fisica cagionate da malattie.
(c)
Analoghe considerazioni devono essere svolte in ordine al nesso causale tra lo
svolgimento delle prestazioni lavorative alle dipendenze della società cedente yyy. unipersonale dal 17.6.1991 al 20.4.2015 e alle dipendenze della cessionaria
odierna convenuta yyy dal 21.4.2015 al 7.8.2020 e le malattie da cui
il ricorrente lamenta di essere affetto.
In particolare assumono un indubbio valore indiziario:
 il riconoscimento, da parte di I.N.A.I.L., in ordine all’origine professionale delle
malattie rappresentate dalla patologia degenerativa delle spalle, dalla sindrome del
tunnel carpale bilaterale e dall’epicondilite ai gomiti;

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 le valutazioni espresse dal consulente di parte ricorrente secondo cui alcune delle
malattie, dalle quali ha ritenuto essere il ricorrente affetto, sono malattie inserite nella
tabella delle malattie professionali dell’industria allegata al d.P.R. 30.6.1965, n. 1124,
per le quali, ai fini dell’assicurazione obbligatoria gestita da I.N.A.I.L., è presunto il
nesso causale con lo svolgimento di alcune lavorazioni, in particolare:
 la tendinopatia bilaterale della cuffia dei rotatori spalla dx e sx con “lavorazioni,
svolte in modo abituale e sistematico, che comportano a carico della spalla
movimenti ripetuti con mantenimento prolungato di posture incongrue e impegno
di forza”, (n. 74 - malattie da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore - lett.
a),
 l’epicondilite calcifica gomito dx e sx ed epitrocleite calcifica gomito dx e sx con
“lavorazioni, svolte in modo abituale e sistematico, che comportano a carico
dell'avambraccio movimenti ripetuti con mantenimento prolungato di posture
incongrue e azioni di presa della mano con impegno di forza” (n. 74 - lett. b),
 la sindrome di De Quervain al pollice dx con “lavorazioni svolte, in modo abituale
e sistematico, che comportano movimenti ripetuti con azioni di presa, impegno di
forza, posture incongrue della mano e/o delle singole dita” (n. 74 - lett. c),
 gli esiti chirurgici di intervento di sindrome da tunnel carpale dx con “lavorazioni
svolte, in modo abituale e sistematico, che comportano movimenti ripetuti con
azioni di presa, impegno di forza, posture incongrue della mano o pressioni
prolungate o impatti ripetuti sulla regione volare del carpo” (n. 74 - lett. d).
Anche queste sono circostanze che, seppur presentino natura indiziaria, esigono, per poter
assumere valore di prova, di essere confermate da un accertamento a cura di un c.t.u.,
specie alla luce dell’ammissione, da parte del consulente di parte ricorrente, secondo cui
le malattie, da cui ha ritenuto il ricorrente sia affetto, hanno eziopatogenesi multifattoriali,

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come evidenzia ampiamente anche parte convenuta (pag. 14-15 della memoria di
costituzione).
Quindi, salvo restando l’esito della c.t.u., può ritenersi che il ricorrente abbia assolto, per
quanto era nelle sue possibilità, l’onere, a suo carico, di provare la sussistenza di un nesso
causale tra lo svolgimento delle lavorazioni alle dipendenze della società convenuta e,
ancor prima, della sua dante causa e i danni risarcibili costituiti da menomazioni
temporanee e permanenti all’integrità psico-fisica.
B) l’onere di allegazione a carico del ricorrente
Il ricorrente – al fine di assolvere l’onere, a suo carico, di allegazione degli
inadempimenti astrattamente idonei a provocare i danni di cui chiede il risarcimento
(lesioni temporanee e permanenti all’integrità psico-fisica determinate da malattie di
origine professionale) e ascrivibili prima alla società cedente yyy
unipersonale e in seguito alla società cessionaria odierna convenuta yyyy
s.r.l., durante il rapporto di lavoro subordinato intercorso dal 17.6.1991 al 7.8.2020 – ha
indicato i seguenti fatti:
a)
nello svolgimento delle sue mansioni egli provvedeva a:
i) lo sfaldamento, fino al 2008-2009 a terra, successivamente su un bancone alto circa
80 cm, con mazze dal peso di 8 e 10 kg, nonché con una mazzetta dal peso di 2 kg,
del materiale grezzo (di media dieci blocchi di porfido al giorno, corrispondenti a
circa 150-200 kg), che veniva così ridotto in lastre di diverse dimensioni e dal peso
variabile tra i 15-20 kg e 70-80 kg;
ii) la movimentazione manuale di ciascun lastra al fine di trasferirla fino al 2008-2009
da terra su un bancale (pallet), distante circa un metro e mezzo, successivamente, ad

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eccezione delle lastre riconducibili al prodotto “mosaico gigante” (con diagonale
media d almeno 40 cm, dallo spessore variabile da 2 a 7 cm. e dal peso variabile da
75 a 100 kg.), dal bancone di lavorazione alto 80 cm. in benne poste alle spalle del
ricorrente, a una distanza di un metro e mezzo dal ricorrente, e dotate di sollevatore
meccanico in modo da consentire, mediante sollevamento del peso e torsione del
busto, la movimentazione della lastra all’altezza costante di 80 cm;
b)
secondo la “certificazione prodotto di qualità yyy (doc. 4 fasc. ric.) la
produzione standard dell’impresa di yyy prevede le seguenti tipologie di
“lastre mosaico”:
 mosaico normale: diagonale media di almeno 20 cm, spessore da 2 a 5 cm. Peso
indicativo 75 kg/m2
 mosaico sottile: diagonale media di almeno 20 cm, spessore da l a 3 cm. Peso
indicativo 50 kg/m2
 lastrame medio da lavorazione: diagonale media di 30 cm, spessore da 3 a 7 cm.
 gigante da posa: diagonale media di almeno 40 cm, spessore da 3 a 7 cm. Peso
indicativo 100 kg/m2
 gigante sottile: diagonale media di almeno 40 cm, spessore da 2 a 4 cm. Peso
indicativo 75 kg/m2;
inoltre è prescritto che: “La lavorazione del tout venant di cava deve avvenire cercando
di sfruttare al massimo il materiale, ossia creare il prodotto più grande possibile”;
ne desume che tale documento “prevede espressamente che le misure ed il peso delle
lastre non debbano essere inferiori a 40 cm di diagonale e peso di 100 kg”.

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c)
le società datrici hanno omesso, in violazione degli obblighi ex art. 2087 cod. civ. ed art.
168 d.lgs. 9.4.2008, n. 81, di adottare le seguente misure idonee a prevenire l’insorgenza
delle malattie professionali lamentate:
 selezionare per il ricorrente del materiale un po’ più piccolo, lasciando agli operai più
giovani e senza problemi fisici il materiale più grosso;
 allungare le pause già previste o inserirne di ulteriori;
 diminuire il numero dei pezzi lavorati al giorno;
 ridurre le misure dei pezzi lavorati;
 imporre e controllare che gli operai sfaldatori effettuassero in coppia la
movimentazione dei carichi;
inoltre soltanto nel 2008-2009 sono stati introdotti i bancali di lavorazione alti 80 cm. e i
sollevatori idraulici (peraltro non per l’imbancalatura del mosaico gigante).
d)
durante l’espletamento delle sue prestazioni non è mai stato ripreso dai superiori perché
sollevava da solo pesi troppo elevati di materiale o perché produceva troppo materiale al
giorno ed eccessivamente pesante.
A detta del ricorrente da questi fatti sono desumibili, a carico degli allora datori di lavoro
del ricorrente, inadempimenti, astrattamente idonei a provocare i danni lamentati (lesioni
temporanee e permanenti all’integrità psico-fisica), consistenti nella violazione degli
obblighi ex art. 2087 cod. civ. ed art. 168 d.lgs. 9.4.2008, n. 81.
Richiama letteratura di medicina del lavoro (doc. 27 e 28 fasc. ric.), secondo cui per il
lavoro di operaio manovale del settore porfido ed in particolare per quello di cernitore e
addetto alla prima lavorazione vi sono dei rischi di patologie muscolo- scheletriche
elevatissimi, che possono essere notevolmente ridotti con l’introduzione dei banconi con

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nastro trasportatore, dei sollevatori idraulici e del lavoro in coppia per la movimentazione
dei pesi superiori ai 35 kg.
Sostiene che le società datrici non hanno adottato alcun mezzo meccanico per impedire il
trasporto del carico di peso variabile fra 15 - 20 kg e fra 70 - 80 kg, “in violazione della
regola che prevede quale limite alla movimentazione manuale dei carichi il peso di 23
kg”; inoltre al ricorrente, nel 2018, il medico competente aveva prescritto di non sollevare
carichi del peso superiori ai 20 kg.
C) gli oneri probatori a carico della parte convenuta
Come si è già visto sub §2 B), grava sulla parte convenuta,
in riferimento:
i) alle condotte tenute dalla società cedente yyy nel
periodo dal 17.6.1991 al 20.4.2015,
ii) alle condotte tenuta dalla società yyy nel periodo dal 21.4.2015 al
7.8.2020,
l’onere di dimostrare che:
A) i fattori di rischio allegati dal lavoratore non sussistevano e, quindi, nessun
inadempimento dell’obbligo di sicurezza e salute vi è stato,
B) oppure l’obbligo di sicurezza è stato adempiuto, osservando le misure di prevenzione
nominate o adottando comportamenti che, sebbene non specificati dalla legge, sono
suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza
normalmente osservati o trovano riferimento in altre fonti (e quindi l’eventuale danno
non è riconducibile all’inadempimento della parte datrice debitrice),
C) oppure l’eventuale inadempimento della società debitrice non è stato eziologicamente
rilevante nella produzione del danno,

RG n. 118/2022
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D) oppure le prestazioni, in cui sarebbe dovuto consistere l’adempimento, sono
divenute impossibili per causa non imputabile alla parte datrice debitrice.
In proposito la società convenuta – pur ammettendo che i lavoratori addetti alla cernitura
e alla prima lavorazione (sfaldatura e accatastamento/imbancalatura) erano esposti al
rischio di contrarre patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari
(infatti afferma che alla riduzione di tale rischio era stata diretta l’introduzione di
attrezzature volte a meccanizzare in parte le prestazioni dei cernitori-sfaldatori, su cui
ampiamente infra) – deduce che:
a)
il ricorrente è stato dipendente della società yyy nel
periodo 17.6.2001 - 20.4.2015, ma in concreto ha svolto le sue prestazioni lavorative in
favore di quella società solo fino al novembre 2013, quando è stato collocato in cassa
integrazione guadagni straordinari fino al 21.4.2015 (periodo nel quale non è noto se
abbia svolto attività lavorativa), quando è stato assunto dall’odierna società convenuta
yyy
b)
il settore del porfido è sempre stato caratterizzato dal sistema di retribuzione a cottimo
(in particolare, oltre una determinata soglia di produzione mensile, raggiunta da quasi
tutti gli addetti nel settore, il cernitore-sfaldatore riceve un bonus che cresce con la
quantità di prodotto finito pallettizzato nel mese), che, sebbene non obbligatorio, porta di
per sé i lavoratori ad accelerare la produzione al fine di guadagnare di più, con
conseguente ripetitività dei movimenti;
ciò era accaduto anche al ricorrente, il quale aveva, in media, prodotto tra il 2015 e il
2020 un numero di “palette” superiore a quello dal quale, alla luce del contratto
collettivo, si inizia a calcolare il cottimo;

pagina 28 di 71
c)
dalle verifiche condotte nell’ambito della “valutazione del rischio da traumi cumulativi
per l’attività manuale di prima lavorazione” (doc. 9 fasc. conv.):
 il tempo massimo effettivo di utilizzo della mazzetta (dal peso di 2 kg) per la
sfaldatura è pari a una media di circa 100 minuti/giorno (massimo 10% delle 8 h
lavorate),
 il tempo massimo effettivo di utilizzo della mazza (dal peso di 6-7 kg) per la
sfaldatura è pari a una media di circa 40 minuti/giorno (massimo 5% delle 8 h
lavorate);
in entrambi i casi si tratta di tempi non continuativi, ma intervallati dai tempi necessari
per lo svolgimento delle altre attività;
d)
i singoli pezzi movimentati dal lavoratore, anche prima dell’introduzione del cd. bancone
di sfaldatura, erano di peso inferiore ai 23 kg;
in proposito evidenzia che il “peso indicativo” di 100 kg/m2 per il gigante da posa e di
75 kg/m2 per il gigante sottile, di cui ha riferito il ricorrente, rappresenta non già il peso
della singola lastra, ma la quantità in kg di materiale che serve per riempire un mq di
vuoto;
di contro, per determinare il peso dei pezzi occorre partire da tre dati: il peso di volume
del porfido (2550 kg/m3), la diagonale del gigante (0.4 m come da manuale qualità che
viene richiamato) e lo spessore medio delle lastre (circa 0.05 m); utilizzando il teorema
di Pitagora si può riscostruire la dimensione dei lati di un’ipotetica lastra rettangolare
avente diagonale 40 cm; si ottiene così una lastra di circa 28x30 cm (0.28x0.3 m) con
una superficie di circa 0.084 mq di cui si conosce anche spessore e peso di volume;
moltiplicando la superficie x lo spessore e moltiplicando il prodotto ottenuto per il peso

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di volume; si ottiene, quindi, il peso del singolo pezzo avente diagonale 40cm:
(0.0084*0.05)*2550 = 10.71 kg, che, quindi, rappresenta il peso di una lastra del
prodotto più grande con diagonale di 40 cm rappresentato dal mosaico gigante;
quindi i pezzi degli altri prodotti (mosaico sottile, mosaico normale, gigante sottile)
difficilmente possono arrivare ai 10 kg;
e)
prima del 2008, nel settore, non erano presenti attrezzature per poter meccanizzare
almeno in parte le fasi della cernita del materiale, né queste erano presenti sul mercato,
nel dicembre del 2007 la società cedente yyy introduceva
una tramoggia in metallo con un nastro trasportatore su cui l’operatore sfalda, non più a
terra ma a 80 cm di altezza, il materiale grezzo e già aperto nella naturale lastricazione,
inserito nella tramoggia dalla pala meccanica, così consentendo all’operatore una
flessione del rachide limitata durante l’attività di cernita e sfaldamento, potendo
effettuare tali operazioni in posizione eretta, con una limitata escursione dei movimenti
della spalla e del gomito;
poco tempo dopo venivano introdotti sollevatori su cui erano posizionati i bancali per
rendere più agevole l’imbancalatura delle lastre sfaldate per tutte le tipologie di
“mosaico” di materiale (quindi senza esclusione del cd. gigante); infatti ora il lavoratore,
abbassando il sollevatore man mano che accatasta il materiale sul bancale, ha la
possibilità di limitare la flessione del rachide durante l’attività di accatastamento; egli,
quindi, non deve sollevare la lastra sfaldata, ma limitarsi solamente a ruotare il corpo per
appoggiarla sul bancale di legno, posto a una distanza di 70 cm, in quanto il sollevatore
si alza e si abbassa al posto dell’operatore;
parte convenuta sostiene che le attrezzature messe a disposizione nel corso del tempo
“sono a tutti gli effetti attrezzature pilota e, tra le disponibili sul mercato, quelle più


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aggiornate al progresso tecnologico del settore e frutto di uno sforzo imprenditoriale da
parte di yyy prima, e yyy poi, che va ben oltre la
normale diligenza”;
f)
i lavoratori venivano più volte avvisati durante le riunioni periodiche (in yyy
almeno un corso nel 2016 e uno nel 2018, come da doc. 15 e 16 fasc. conv.) di sollevare
in due eventuali lastre che, per impossibilità di essere completamente eliminate,
superassero i pesi consentiti;
g)
sino al 2018 il ricorrente non ha mai segnalato, né al medico competente, né al datore di
lavoro, problemi di salute;
solo nel febbraio 2018 ha ricevuto per la prima volta una valutazione di idoneità con
prescrizioni di non sollevare più di 20 kg;
di conseguenza, con lettera del 23.4.2018 (doc. 37 fasc. conv,), la società convenuta gli
ha comunicato le seguenti modifiche alle mansioni, con lo scopo di ridurre la
movimentazione manuale dei carichi:
 riduzione della dimensione del materiale in ingresso in tramoggia;
 scarto del materiale di dimensione superiore ai 40-50 cm di diametro, che, quindi,
non doveva essere nemmeno sfaldato, ma lasciato sul nastro;
h)
l’UOPSAL ha archiviato le verifiche relative alle malattie professionali denunciate dal
ricorrente (doc. 41 fasc. conv,) e nessun procedimento penale è stato promosso (doc. 42
fasc. conv.).


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D) le statuizioni in ordine all’assolvimento degli oneri allegatori a carico del ricorrente
sub B) e in ordine all’assolvimento degli oneri probatori a carico della società convenuta
sub C)
a)
In primo luogo appaiono incompleti i parametri normativi indicati dal ricorrente
nell’assolvere l’onere, a suo carico, di allegazione degli inadempimenti astrattamente
idonei a provocare i danni di cui chiede il risarcimento (lesioni temporanee e permanenti
all’integrità psico-fisica determinate da malattie di origine professionale), che ascrive alla
società cedente yyy dal 17.6.1991 al 20.4.2015 e alla
società cessionaria odierna convenuta yyy dal 21.4.2015 al 7.8.2020.
Infatti egli, da un lato, fa risalire le condotte datoriali assertamente integranti quegli
inadempimenti all’arco dell’intero svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, dal
17.6.1991 al 7.8.2020, mentre, dall’altro lato, richiama (oltre all’art. 2087 cod.civ.)
soltanto l’art. 168 d.lgs. 9.4.2008, n. 81 e l’allegato XXIII all medesimo d.lgs., norme
che sono entrate in vigore solo il 15 maggio 2008, ossia quasi 17 anni dopo l’inizio di
quel rapporto.
Così il ricorrente trascura che nel periodo 27.11.1994-14.5.2008 erano in vigore altre
misure di prevenzione nominate, vale a dire quelle contenute nel d.lgs. 19.9.1994, n. 626
(attuativo, tra le altre, della direttiva 29.5.1990, n. 90/2069 CEE relativa alle prescrizioni
minime di sicurezza e salute concernenti la movimentazione manuale dei carichi che
comporta tra l'altro rischi dorso-lombari per i lavoratori), il quale, in tema di
movimentazione manuale dei carichi, disponeva:
art. 47. Campo di applicazione

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“1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività che comportano la
movimentazione manuale dei carichi con i rischi, tra l'altro, di lesioni dorso-lombari per
i lavoratori durante il lavoro.
2. Si intendono per:
a) movimentazione manuale dei carichi: le operazioni di trasporto o di sostegno di un
carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre,
spingere, tirare, portare o spostare un carico che, per le loro caratteristiche o in
conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano tra l'altro rischi
di lesioni dorso-lombari;
b) lesioni dorso-lombari: lesioni a carico delle strutture osteomiotendinee e
nerveovascolari a livello dorso-lombare”
art. 48. Obblighi dei datori di lavoro
“1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie o ricorre ai mezzi
appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una
movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei
lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi
appropriati o fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il
rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, in base all'allegato VI.
3. Nel caso in cui la necessità di una movimentazione manuale di un carico ad opera del
lavoratore non può essere evitata, il datore di lavoro organizza i posti di lavoro in modo
che detta movimentazione sia quanto più possibile sicura e sana.
4. Nei casi di cui al comma 3 il datore di lavoro:

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a) valuta, se possibile, preliminarmente, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al
lavoro in questione e tiene conto in particolare delle caratteristiche del carico, in base
all'allegato VI;
b) adotta le misure atte ad evitare o ridurre tra l'altro i rischi di lesioni dorso-lombari,
tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche
dell'ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all'allegato
VI;
c) sottopone alla sorveglianza sanitaria di cui all'art. 16 gli addetti alle attività di cui al
presente titolo”
art. 49. Informazione e formazione
“1. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto
riguarda:
a) il peso di un carico;
b) il centro di gravità o il lato più pesante nel caso in cui il contenuto di un imballaggio
abbia una collocazione eccentrica;
c) la movimentazione corretta dei carichi e i rischi che i lavoratori corrono se queste
attività non vengono eseguite in maniera corretta, tenuto conto degli elementi di cui
all'allegato VI.
2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata, in particolare in
ordine a quanto indicato al comma 1”.
L’allegato VI prevedeva:
“ELEMENTI DI RIFERIMENTO
1. Caratteristiche del carico.
La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio tra l'altro dorsolombare nei casi seguenti:

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- il carico è troppo pesante (kg 30);
- è ingombrante o difficile da afferrare;
- è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;
- è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato ad una certa
distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;
- può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il
lavoratore, in particolare in caso di urto.
2. Sforzo fisico richiesto.
Lo sforzo fisico può presentare un rischio tra l'altro dorso-lombare nei seguenti casi:
- è eccessivo;
- può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;
- può comportare un movimento brusco del carico;
- è compiuto con il corpo in posizione instabile.
3. Caratteristiche dell'ambiente di lavoro.
Le caratteristiche dell'ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di rischio tra
l'altro dorso-lombare nei seguenti casi:
- lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell'attività
richiesta;
- il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o di scivolamento per le
scarpe calzate dal lavoratore;
- il posto o l'ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione
manuale di carichi a un'altezza di sicurezza o in buona posizione;
- il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del
carico a livelli diversi; - il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;
- la temperatura, l'umidità o la circolazione dell'aria sono inadeguate.
Firmato Da: GIORGIO FLAIM Emesso Da: ARUBAPEC EU QUALIFIED CERTIFICATES CA G1 Serial#: 5f242a5947d779de
Sentenza n. 36/2024 pubbl. il 27/02/2024
RG n. 118/2022
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4. Esigenze connesse all'attività.
L'attività può comportare un rischio tra l'altro dorso-lombare se comporta una o più
delle seguenti esigenze:
- sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o
troppo prolungati;
- periodo di riposo fisiologico o di recupero insufficiente;
- distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;
- un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.
FATTORI INDIVIDUALI DI RISCHIO.
Il lavoratore può correre un rischio nei seguenti casi:
- inidoneità fisica a svolgere il compito in questione;
- indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore;
- insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione”.
Invece nel periodo 14.5.2008 - 7.8.2020 erano in vigore le misure di prevenzione
nominate, che sono contenute nel d.lgs. 9.4.2008, n. 81, il quale in tema di
movimentazione manuale dei carichi disponeva:
art. 167. Campo di applicazione
“1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività lavorative di movimentazione
manuale dei carichi che comportano per i lavoratori rischi di patologie da sovraccarico
biomeccanico, in particolare dorso-lombari.
Ai fini del presente titolo, s’intendono:
a) movimentazione manuale dei carichi: le operazioni di trasporto o di sostegno di un
carico ad opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre,
spingere, tirare, portare o spostare un carico che, per le loro caratteristiche o in

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conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di
patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari.
b) patologie da sovraccarico biomeccanico: patologie delle strutture osteoarticolari,
muscolotendinee e nervovascolari;
c) lesioni dorso-lombari: lesioni a carico delle strutture osteomiotendinee e
nerveovascolari a livello dorso-lombare”
art. 168. Obblighi dei datori di lavoro
“1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie o ricorre ai mezzi
appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una
movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei
lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi
appropriati o fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il
rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto
dell’allegato XXXIII ed in particolare.
a) il datore di lavoro organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione
assicuri condizioni di sicurezza e salute;
b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di
salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’allegato XXXIII;
c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le
misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle
caratteristiche dell'ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base
all'allegato XXXIII;
c) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all'art. 41, sulla base della
valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all’allegato XXXIII,
Firmato Da: GIORGIO FLAIM Emesso Da: ARUBAPEC EU QUALIFIED CERTIFICATES CA G1 Serial#: 5f242a5947d779de
Sentenza n. 36/2024 pubbl. il 27/02/2024
RG n. 118/2022
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3. Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente
articolo e dell'allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può far riferimento alle
buone prassi e alle linee guida”
art. 169. Informazione, formazione e addestramento
“1. Tenendo conto dell'allegato XXXIII, Il datore di lavoro:
a) fornisce ai lavoratori le informazioni adeguate, relativamente al peso ed alle altre
caratteristico del carico movimentato;
b) assicura ad essi la formazione adeguata in relazione ai rischi lavorativi e alle
modalità di corretta esecuzione delle attività.
2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori l’addestramento adeguato in merito alle
corrette manovre e procedure da adottare nella movimentazione manuale dei carichi”.
L’allegato XXXIII prevede:
“ELEMENTI DI RIFERIMENTO
1. Caratteristiche del carico.
La movimentazione manuale di un carico può costituire un rischio di patologie da
sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei casi seguenti:
- il carico è troppo pesante;
- è ingombrante o difficile da afferrare;
- è in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;
- è collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato ad una certa
distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco;
- può, a motivo della struttura esterna e/o della consistenza, comportare lesioni per il
lavoratore, in particolare in caso di urto.
2. Sforzo fisico richiesto.
Firmato Da: GIORGIO FLAIM Emesso Da: ARUBAPEC EU QUALIFIED CERTIFICATES CA G1 Serial#: 5f242a5947d779de
Sentenza n. 36/2024 pubbl. il 27/02/2024
RG n. 118/2022
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Lo sforzo fisico può presentare rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in
particolare dorso-lombari, in particolare nei seguenti casi:
- è eccessivo;
- può essere effettuato soltanto con un movimento di torsione del tronco;
- può comportare un movimento brusco del carico;
- è compiuto con il corpo in posizione instabile.
3. Caratteristiche dell'ambiente di lavoro.
Le caratteristiche dell'ambiente di lavoro possono aumentare le possibilità di rischio di
patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari nei seguenti casi:
- lo spazio libero, in particolare verticale, è insufficiente per lo svolgimento dell'attività
richiesta;
- il pavimento è ineguale, quindi presenta rischi di inciampo o è scivoloso il posto o
l'ambiente di lavoro non consentono al lavoratore la movimentazione manuale dei
carichi a un'altezza di sicurezza o in buona posizione;
- il pavimento o il piano di lavoro presenta dislivelli che implicano la manipolazione del
carico a livelli diversi;
- il pavimento o il punto di appoggio sono instabili;
- la temperatura, l'umidità o la circolazione dell'aria sono inadeguate.
4. Esigenze connesse all'attività.
L'attività può comportare un rischio di patologie da sovraccarico biomeccanico, in
particolare dorso-lombari se comporta una o più delle seguenti esigenze:
- sforzi fisici che sollecitano in particolare la colonna vertebrale, troppo frequenti o
troppo prolungati;
- pause e periodi di recupero fisiologico insufficienti;
- distanze troppo grandi di sollevamento, di abbassamento o di trasporto;

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- un ritmo imposto da un processo che non può essere modulato dal lavoratore.
FATTORI INDIVIDUALI DI RISCHIO.
Fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in tema di tutela sostegno della
maternità e di protezione dei giovani sul lavoro, il lavoratore può correre un rischio nei
seguenti casi:
- inidoneità fisica a svolgere il compito in questione tenuto altresì conto delle differenze
di genere e di età;
- indumenti, calzature o altri effetti personali inadeguati portati dal lavoratore;
- insufficienza o inadeguatezza delle conoscenze o della formazione o
dell’addestramento.
RIFERMENTI A NORME TECNICHE
Le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di
movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di
carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste all'articolo
168, comma 3”.
Alla luce di queste discipline appare evidente che fin dal 1994 (vale a dire da epoca di
soli tre anni e mezzo successiva all’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato da
cui è scaturito il credito di sicurezza in favore del ricorrente) la movimentazione manuale
dei carichi poteva avvenire manualmente solo qualora non potesse essere altrimenti
evitata mediante mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche.
In questa ipotesi il datore di lavoro era tenuto ad adottare “le misure organizzative
necessarie”, a ricorrere “ai mezzi appropriati”, a fornire ai lavoratori “i mezzi adeguati”
così da “ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, in
base all'allegato VI” (nel diritto vigente “tenendo conto dell’allegato XXXIII”), in
particolare mediante l’organizzazione dei posti di lavoro in modo che la movimentazione

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fosse “quanto più possibile e sana” (nel diritto vigente: assicurasse “condizioni di
sicurezza e salute”), la valutazione delle condizioni di sicurezza di salute connesse al
lavoro, l’eliminazione o la riduzione dei rischi, particolarmente di patologie dorsolombari e la sottoposizione dei lavoratori alla sorveglianza sanitaria, sulla base della
valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio.
La prevenzione del rischio di patologie da sovraccarico meccanico, in particolare dorsolombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi doveva
considerare il complesso degli “elementi di riferimento” (“caratteristiche del carico”, tra
cui il suo eccessivo peso, ma il limite massimo di kg. 30 di peso, previsto nell’allegato
VI al d.lgs. 626/1994, non è più previsto nell’allegato XXXIII al d.lgs. 81/2008, “sforzo
fisico richiesto”, “caratteristiche dell'ambiente di lavoro”, “esigenze connesse
all'attività”) ed i “fattori individuali di rischio”.
Gravava sul datore di lavoro l’obbligo di fornire ai lavoratori “le informazioni adeguate
relativamente al peso ed alle altre caratteristiche del carico movimentato” e di
assicurare loro “la formazione adeguata in relazione ai rischi lavorativi ed alle modalità
di corretta esecuzione delle attività”, nonché dal 15.5.2008, di fornire “l'addestramento
adeguato in merito alle corrette manovre e procedure da adottare nella movimentazione
manuale dei carichi”.
Ai fini della valutazione del rischio di patologie da sovraccarico meccanico, in
particolare dorso-lombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale
dei carichi, già dal 1994 il National Institute for Occupational Safety and Health
(NIOSH) statunitense ha elaborato un modello, ormai considerato in sede scientifica il
più accreditato, che stima il livello di rischio tramite un indice sintetico ottenuto da una
serie di indicatori specifici, descrittivi delle modalità con le quali la movimentazione
viene eseguita (frequenza e modalità di sollevamento, peso sollevato, tempo di

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adibizione); il confronto del valore dell’indice sintetico con le fasce di rischio indicate
nel metodo consente, come di pervenire ad un giudizio supportato sul piano scientifico e
applicabile nelle diverse realtà aziendali.
b)
In ordine alla valutazione del rischio di patologie da sovraccarico meccanico, in
particolare dorso-lombari, connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale
dei carichi, la società convenuta non ha allegato e, quindi, tanto meno provato alcunché
per il periodo fino al 2015.
Infatti il primo documento pertinente è rappresentato dalla “valutazione del rischio
movimentazione dei carichi” redatto in data 10.5.2016 (doc. 13 fasc. conv.).
Alla stessa data risalgono i primi calcoli del peso limite raccomandato (doc 17 e 18 fasc.
conv.).
Infine gli unici documenti di valutazione dei rischi connessi alla movimentazione
manuale dei carichi effettuata durante lo svolgimento delle attività di cernita e prima
lavorazione prodotti in giudizio sono quelli datati giugno 2018 (doc. 19 fasc. conv.) e
agosto 2019 (doc. 20 fasc.conv.).
Quindi la società convenuta non ha assolto l’onere, incombente su di essa, di provare
l’avvenuto adempimento, nel periodo 1994-2014, degli obblighi datoriali, di valutazione
dei rischi in azienda per la sicurezza e la salute dei lavoratori e di indicazione delle
misure di prevenzione e protezione adottate e da realizzare, prescritti dall’art. 4 d.lgs.
626/1994 e dagli artt. 17 e 28 d.lgs. 81/2008.
Qualora le malattie denunciate costituissero l’estrinsecazione dei rischi connessi alla
movimentazione manuale dei carichi effettuata dal ricorrente, che la società datrice
cedente yyy non ha adeguatamente valutato e
neutralizzato con le opportune misure di prevenzione e protezione, l’inadempimento

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dannoso sarebbe ascrivibile alla responsabilità, connotata da colpa, di quella società,
con assunzione degli obblighi risarcitori da parte dell’odierna società convenuta
yyy quale cessionaria.
c)
In ordine al peso della lastre ricavate dall’attività di sfaldatura dei blocchi di porfido,
parte ricorrente svolge allegazioni non del tutto lineari e chiare:
da un lato afferma che “i blocchi di porfido… vengono sfaldati… e ridotti in lastre di
diverse dimensioni e dal peso variabile tra i 15-20 kg. e 70-80 kg.” (pag. 2 del ricorso);
dall’altro sostiene che la “certificazione prodotto di qualità yyy” (doc. 4 fasc.
ric.) “prevede espressamente che le misure ed il peso delle lastre non debbano essere
inferiori a 40 cm di diagonale e peso di 100 kg” (pag. 3 del ricorso).
La società convenuta replica evidenziando che il “peso indicativo” di 100 kg/m2 per il
gigante da posa e di 75 kg/m2 per il gigante sottile, menzionato nella “certificazione
prodotto di qualità yyy” (doc. 4 fasc. ric.), di cui ha riferito il ricorrente,
rappresenta la quantità in kg di materiale che serve per riempire un mq di vuoto (pag. 9
della memoria di costituzione) e sostenendo (secondo un computo fondato su peso di
volume del porfido, diagonale e spessore medio) che il peso di una lastra del prodotto
più grande con diagonale di 40 cm, rappresentato dal mosaico gigante, si aggirava sui
10.71 kg.; quindi i pesi delle lastre degli altri prodotti difficilmente potevano arrivare ai
10 kg. (pag. 10 della memoria di costituzione).
Se il primo assunto merita di essere condiviso, atteso che i pesi di kg. 100 e kg. 75 sono
riferiti dalla “certificazione prodotto di qualità yyy” (doc. 4 fasc. ric.) al metro
quadro e non alla singola lastra – l’allegazione, secondo cui il peso massimo di ciascuna
lastra, oggetto della movimentazione manuale effettuata dagli sfaldatori, non superava i
kg. 10,71, appare contraddetta da altra svolta in precedenza dalla stessa parte convenuta

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(cap. 38 a pag. 8 della memoria di costituzione), secondo cui “il lavoratore non ha
dovuto movimentare direttamente e senza alcun ausilio di mezzi meccanici pezzi del peso
superiore ai 23 kg.”);
inoltre risulta anche smentita da documenti prodotti dalla stessa società convenuta,
quali:
 i calcoli del peso limite raccomandato (doc 17 e 18 fasc. conv.), effettuati dal
redattore della “valutazione del rischio movimentazione dei carichi” (doc. 13 fasc.
conv.), che presumono un “peso effettivamente sollevato” di 15 kg;
 i documenti di valutazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei
carichi effettuata durante lo svolgimento dell’attività di cernita, datati giugno 2018
(doc. 19 fasc. conv.) e agosto 2019 (doc. 20 fasc.conv.), che disciplinano la
previsione in cui gli addetti alla cernita si trovino ad effettuare lo “spostamento dei
carichi di peso superiore a 25 kg.” (pag. 26 di entrambi i documenti).
Occorre anche considerare che la “certificazione prodotto di qualità yyy” (doc.
4 fasc. ric.) prescriveva che: “La lavorazione del tout venant di cava deve avvenire
cercando di sfruttare al massimo il materiale, ossia creare il prodotto più grande
possibile”.
Sebbene non afferente all’azienda delle società datrici, assume un valore indiziario
l’accertamento, effettuato durante l’anno 2003 da professori di medicina del lavoro
dell’Università di Verona, nell’ambito di una valutazione riguardante le attività di cernita
e accatastamento nel settore del porfido, della “presenza di carichi pesanti anche molto
superiori al limite massimo [all’epoca] consentito per i lavoratori maschi, pari a 30 kg”
(doc. 28 fasc. ric.).
Inoltre dall’istruttoria testimoniale svolta è emerso che le società datrici non hanno mai
individuato, con sufficiente concretezza e precisione, le caratteristiche dei carichi che gli

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addetti alla sfaldatura dovevano movimentare (come prescritto dal punto l dell’allegato
VII al d.lgs. 626/1994 e dell’allegato XXXIII al d.lgs. 8172008); inoltre non hanno
fornito in modo sufficientemente specifico agli addetti alla sfaldatura le informazioni
riguardanti il peso dei carichi che dovevano movimentare, come imponeva l’art. 49 co.1
d.lgs. 626/1994 e l’art. 169 co.1, lett. a) d.lgs. 81/2008.
In primo luogo è sintomatico che il redattore della “valutazione del rischio
movimentazione dei carichi” (doc. 13 fasc. conv.) abbia dichiarato di non essere in grado
“di riferire in base a quali ragioni il singolo pezzo, dopo la sfaldatura, non superava i 23
kg”.
Inoltre il teste mmm ex dipendente della società cedente yyy
e della società cessionaria yyydal 1981 al 1985 e
dal 1987 al 2020, ha dichiarato: “I pezzi lavorati avevano diverse dimensioni e diverso
peso. I pezzi lavorati erano costituiti da lastre. Le dimensioni e quindi il peso delle lastre
dipendeva dalle dimensioni del sasso e dallo spessore che risultava all’esito della
sfaldatura per ragioni indipendenti dall’operatore ma connesse alle caratteristiche del
materiale. In definitiva, le dimensioni e il peso dei pezzi sfaldati, ossia delle lastre,
dipendeva da fattori indipendenti dalla volontà dello sfaldatore. Questi non poteva
modificare dimensioni, peso e spessore delle lastre; ad esempio, non poteva, nel caso di
lastre di grandi dimensioni, suddividerle in più parti. In ordine alla movimentazione delle
lastre dal luogo di sfaldatura ai bancali, l’azienda non ha mai impartito disposizioni in
proposito, neppure in riferimento alle dimensioni e al peso delle suddette lastre”;
il teste nnn, ex dipendente della società cedente yyy
unipersonale e della società cessionaria yyy dal 1978 fino al marzo
2006, ha riferito: “I pezzi lavorati avevano diverse dimensioni e diverso peso. I pezzi
lavorati erano costituiti da lastre. Le dimensioni e quindi il peso delle lastre dipendeva

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dalle dimensioni del sasso e dallo spessore che risultava all’esito della sfaldatura per
ragioni indipendenti dall’operatore, ma connesse alle caratteristiche del materiale. In
definitiva, le dimensioni e il peso dei pezzi sfaldati, ossia delle lastre, dipendeva da
fattori indipendenti dalla volontà dello sfaldatore. Questi non poteva modificare
dimensioni, peso e spessore delle lastre; ad esempio, non poteva, nel caso di lastre di
grandi dimensioni, suddividerle in più parti; sarebbe stata un’assurdità, dato che le
lastre di porfido di grandi dimensioni erano pregiate e quindi, ai fini del cottimo,
consentivano maggiori compensi. In ordine alla movimentazione delle lastre dal luogo di
sfaldatura ai bancali, l’azienda non ha mai impartito disposizioni in proposito, neppure
in riferimento alle dimensioni e al peso delle suddette lastre”.
Emerge così in modo nitido che:
 le dimensioni e, quindi, il peso delle lastre ricavate dall’attività di sfaldatura, oggetto
di movimentazione manuale da parte del ricorrente durante sia la sfaldatura sia la
successiva imbancalatura, erano rimesse a “madre natura”;
 le società datrici non avevano impartito disposizioni circa le modalità di
movimentazione manuale, con cui i lavoratori dovevano operare a seconda delle
diverse dimensioni delle lastre che risultavano dalla sfaldatura;
 in ogni caso ai lavoratori non era consentito di ridurre le dimensioni di quelle lastre.
Quindi la società convenuta non ha assolto l’onere, incombente su di essa, di provare
l’avvenuto adempimento, nel periodo 1994-2020, dell’obbligo datoriale di individuare,
con sufficiente concretezza e precisione, le caratteristiche dei carichi che gli addetti alla
cernitura-sfaldatura dovevano movimentare (come prescritto dal punto l dell’allegato VII
al d.lgs. 626/1994 e dell’allegato XXXIII al d.lgs. 81/2008) e di fornire in modo
sufficientemente specifico a questi addetti le informazioni riguardanti il peso dei carichi

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che dovevano movimentare, come imponeva l’art. 49 co.1 d.lgs. 626/1994 e l’art. 169
co.1, lett. a) d.lgs. 81/2008.
Qualora le malattie denunciate costituissero l’estrinsecazione dei rischi connessi alla
movimentazione manuale dei carichi effettuata dal ricorrente, che le società datrici
avrebbero dovuto valutare (anche) sulla base delle caratteristiche dei carichi, da portare a
conoscenza dei lavoratori nell’ambito delle informazioni e della formazione da impartire
loro, gli inadempimenti dannosi sarebbero ascrivibili alla responsabilità, connotata da
colpa, di quelle società.
d)
La stessa società convenuta allega che nel dicembre del 2007 la società cedente yyy
ha introdotto una tramoggia in metallo con un nastro
trasportatore su cui l’operatore sfalda, non più a terra, ma a 80 cm di altezza, il materiale
grezzo e già aperto nella naturale lastricazione, inserito nella tramoggia dalla pala
meccanica, così consentendo all’operatore una flessione del rachide limitata durante
l’attività di cernita e sfaldamento, potendo effettuare tali operazioni in posizione eretta,
con una limitata escursione dei movimenti della spalla e del gomito;
inoltre poco tempo dopo sono stati introdotti sollevatori su cui erano posizionati i
bancali per rendere più agevole l’imbancalatura delle lastre sfaldate; infatti l’addetto alla
sfaldatura, abbassando il sollevatore man mano che accatasta il materiale sul bancale,
ha la possibilità di limitare la flessione del rachide durante l’attività di accatastamento;
quindi, non deve sollevare la lastra sfaldata, ma solamente ruotare il corpo per
appoggiarla sul bancale di legno, posto a una distanza di 70 cm., in quanto il sollevatore
si alza e si abbassa al posto dell’operatore.
In entrambi casi si tratta, evidentemente, del ricorso a “mezzi appropriati, in particolare
attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei

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carichi da parte dei lavoratori”, che già l’art. 48 co. 1 d.lgs. 626/1994 imponeva e che
l’art. 168 co.1 d.lgs. 81/2008 ha ribadito.
Parte convenuta sostiene che prima del 2008 non erano presenti sul mercato attrezzature
idonee a meccanizzare, almeno in parte, le fasi della cernita e di prima lavorazione
(sfaldatura e imbancalatura) del materiale; afferma, quindi, che quelle introdotte in
azienda nel 2008 “sono a tutti gli effetti attrezzature pilota e, tra le disponibili sul
mercato, quelle più aggiornate al progresso tecnologico del settore e frutto di uno sforzo
imprenditoriale da parte di yyy prima, e yyy poi,
che va ben oltre la normale diligenza” (pag. 8 della memoria di costituzione).
Si tratta di assunti non condivisibili.
Infatti già nel progetto “cava tipo” - subprogetto “Tutela della salute e igiene del lavoro”
del dicembre 1998, a cura del medico del lavoro prof. Giovanni Costa (doc. 27 fasc. ric.),
in riferimento alla “fase di cernita”, in particolare all’ “attività di sollevamento e
accatastamento delle lastre”, erano previsti (pag. 37):
“Alimentazione del materiale (con pala o con nastro trasportatore) su piano di lavoro
rialzato”;
“Rilascio del materiale cernito su piano rialzati attigui al piano di lavoro (ad es. piani di
sollevatori meccanici o nastri trasportatori)”.
Quanto al primo intervento, era stata “individuata la concreta possibilità di adottare un
banco di lavoro alto 70-80 cm, dotato di un piano mobile in gomma rigida, che può
essere alimentato direttamente da una pala meccanica o da un braccio di carico, oppure
con un appropriato apparato di estrazione da una tramoggia di carico, dove il materiale
grezzo viene posto dal palista. Ciò consentirebbe all’operatore di lavorare in posizione
eretta, evitando quindi i continui movimenti di flessione del dorso in avanti e la
posizione semi accucciata con appoggio irregolare sul terreno” (pag. 39).

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Inoltre si evince dai documenti prodotti dal ricorrente sub doc. 28 (afferenti la
valutazione, formulata nel luglio 2004 da docenti in medicina del lavoro dell’Università
di Verona, in ordine all’ “efficacia di interventi di parziale meccanizzazione delle prime fasi
di lavorazione del porfido introdotti al fine di ridurre il sovraccarico biomeccanico del
rachide e degli arti superiori”) che già nel corso del 2003 (quindi ben prima del 2008)
erano presenti in alcune aziende del settore di estrazione e lavorazione del porfido ausili
meccanici costituiti da un nastro trasportatore con tramoggia in grado di fungere da piano
di lavoro alto cm. 80 per l’attività di cernita e sfaldatura e da sollevatori idraulici in grado
di eliminare o ridurre la distanza verticale di spostamento del peso tra il punto di prelievo e
quello di deposizione nello svolgimento dell’attività di accatastamento/imbancalatura delle
lastre ricavate dalla sfaldatura.
In definitiva può considerarsi compiutamente accertato che la società cedente yyy

ha adempiuto tardivamente, avendolo fatto soltanto nel biennio
2008-2009, l’obbligo prescritto dall’art. 48 d.lgs. 626/1994 di ricorrere a mezzi
appropriati, in particolare ad attrezzature meccaniche, al fine di evitare o, quanto meno,
di limitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi durante lo
svolgimento delle attività di cernita e di prima lavorazione (sfaldatura e
accatastamento/imbancalatura).
E’ configurabile, altresì, la violazione della norma di ordine generale ex art. 2087
cod.civ., che, come si è già ricordato, ad avviso della Suprema Corte, è estensibile a
situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al
momento della sua formulazione, ed impone all'imprenditore l'obbligo di adottare
nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro,
in concreto, svolto dai dipendenti, siano necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica dei
lavoratori, in base al parametro della più elevata sicurezza tecnologicamente possibile e

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non a quelle della sicurezza ragionevolmente praticabile alla luce dei costi aziendali,
nonché della misura di prevenzione specifica
ex art. 4 co.5, lett. b) d.lgs. 626/1994, secondo cui il datore di lavoro “aggiorna le misure
di prevenzione… in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e
della protezione”.
E’ opportuno evidenziare le modalità con cui venivano svolte le attività di
cernita/sfaldatura e imbancalatura prima dell’introduzione dei banchi di lavoro costituititi
da nastro trasportatore con tramoggia e bancali con sollevatori automatici.
In proposito il teste nnn ha dichiarato: “E’ vero che, fino al 2008, l’attività di
sfaldatura veniva svolta con il materiale da sfaldare situato a terra. Una volta sfaldati, i
pezzi venivano collocati su un bancale-pallets, anch’esso collocato a terra. La
movimentazione dei pezzi dal luogo di sfaldatura ai bancali avveniva a mano.”.
inoltre il teste mmm ha riferito: “Nel periodo in cui ho lavorato io l’attività di
cernitura e sfaldatura veniva svolta con il materiale da sfaldare situato a terra. Una
volta cernito o lavorato, il pezzo doveva essere collocato su un bancale pallets collocato
a terra. Tra il luogo di lavorazione e quello in cui si trovava il bancale poteva esserci
una distanza fino a 5 metri, dato che il materiale da lavorare veniva depositato per una
lunghezza fino a 5 metri. Quando la distanza non era ravvicinata, il pezzo veniva, una o
più volte, gettato in direzione del bancale. Questo gesto lavorativo poteva essere
compiuto anche più volte in relazione ad un singolo pezzo. La movimentazione dei pezzi
dal luogo di sfaldatura ai bancali avveniva a mano… Preciso che, come ho evidenziato
più sopra, il singolo pezzo, una volta lavorato, veniva preso in mano quantomeno due
volte durante la movimentazione, dato che non accadeva quasi mai che dal punto della
lavorazione il pezzo venisse portato direttamente sul bancale; di contro, una prima volta

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veniva preso in mano per essere gettato nelle vicinanze del bancale, una volta per essere
collocato sul bancale”.
Infine, vi è contrasto tra le parti se i sollevatori automatici venissero utilizzati per
imbancalare i pezzi di maggiori dimensioni.
L’ipotesi negativa trova riscontro:
 nella documentazione fotografica prodotta dal ricorrente sub doc. 26, nella quale le
lastre di mosaico gigante appaiono appoggiate a terra e non sui sollevatori automatici,
come, invece le lastre delle altre tipologie:
 nella deposizione del testi mmm (“I sollevatori non venivano utilizzati per
l’imbancalatura delle lastre più grandi, in particolare delle lastre destinate alla
segagione. Ciò perché tali lastre avevano una superficie più grande dello stesso
bancale”).
I testi escussi su indicazione della società convenuta hanno riferito il contrario, ma in
modo non persuasivo.
Infatti il teste ccc ha sì dichiarato che: “Per quanto mi consta, non vi erano
limitazioni per quanto concerne il tipo di materiale circa l’utilizzo dei sollevatori”, ma
ha precisato di non essere “al corrente di che cosa sia il mosaico gigante”;
quanto al teste ddd, direttore responsabile di cava, ma con mansioni in via
principale di mulettista, ha sì riferito che: “Per quanto mi consta il datore di lavoro non
ha dato disposizione che non venissero usati i bancali pallets con sollevatore automatico
per i pezzi lavorati aventi le caratteristiche da mosaico gigante”, tuttavia ha precisato:
“nel concreto non sono in grado di riferire cosa avvenisse specificamente per ciascun
operaio”; inoltre, una volta presa visione della documentazione fotografica prodotta dal
ricorrente sub doc. 26 ha dichiarato: “Guardando la fotografia, nella parte destra noto
che vi è del materiale che è appoggiato a terra e non sui bancali pallets con sollevatori

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automatici che appaiono alla sinistra del materiale di cui sopra, nel numero di 3. Posso
dire che il materiale appoggiato a terra ha delle dimensioni in termini di diagonale che
si aggirano intorno ai 40 cm. Nulla posso dire in ordine allo spessore. La fotografia
potrebbe rappresentare la postazione di lavoro del ricorrente”.
Può, quindi, considerarsi accertato che poteva accadere che il ricorrente dovesse
imbancalare le lastre di maggiori dimensioni senza potersi avvalere dell’ausilio dei
sollevatori automatici.
e)
Il ricorrente allega che le società datrici non hanno adottato neppure misure organizzative
necessarie a ridurre i rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare
dorso-lombari, cui erano esposti gli addetti alla sfaldatura, quali:
 diminuire il numero dei pezzi lavorati al giorno;
 ridurre le misure dei pezzi lavorati;
 imporre e controllare che la movimentazione dei carichi avvenisse in coppia.
In ordine alle prime due circostanze parte convenuta ha evidenziato che il settore del
porfido è sempre stato caratterizzato dal sistema di retribuzione a cottimo (per cui, ad
esempio il cernitore-sfaldatore, oltre a una determinata soglia di produzione mensile,
riceve un bonus che cresce con la quantità di prodotto finito pallettizzato nel mese), che,
sebbene non obbligatorio, induce di per sé i lavoratori ad accelerare la produzione al fine
di guadagnare di più, con conseguente ripetitività dei movimenti; ciò era accaduto anche
al ricorrente, il quale aveva, in media, prodotto tra il 2015 e il 2020 un numero di
“palette” superiore a quello dal quale, alla luce del contratto collettivo, si inizia a
calcolare il cottimo.
Tuttavia non appare corretto evincere dal consenso all’applicazione del sistema di
retribuzione a cottimo la configurabilità a carico del ricorrente di un concorso di colpa

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nell’aver cagionato le malattie di asserita origine professionale, da cui afferma di essere
affetto.
In primo luogo, se è vero che l’applicazione del sistema retributivo a cottimo ha
certamente indotto il ricorrente a lavorare più intensamente, è anche vero che il cottimo
risultava vantaggioso in primo luogo per l’azienda datrice, la quale in questo modo si
assicurava livelli di produttività molto elevati da parte del proprio dipendente (cui
solitamente, com’è noto, grava, invece, un’obbligazione di mezzi e non già di risultato).
Inoltre, se è vero che il sistema retributivo a cottimo non era giuridicamente obbligatorio
(non apparendo persuasive le considerazioni espresse dal funzionario sindacale
fff, secondo cui la fonte di quell’obbligo è rinvenibile nel quarto comma della
clausola “cottimi” e nella successiva “dichiarazione a verbale”, dove però, a ben
vedere, viene prevista l’applicazione delle norme disciplinari in materia di scarso
rendimento, ma soltanto ai lavoratori che non raggiungano il minimo di produzione),
tuttavia la disponibilità a lavorare a cottimo era, nei fatti, un requisito di assunzione,
come emerge agevolmente dalla deposizione del teste nnn, il quale ha riferito che
“i datori di lavoro ricercavano gli operai sfaldatori e cernitori che erano in grado di
lavorare le maggiori quantità di porfido”.
Infine, secondo l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte (Cass. 21.9.2021,
n. 25597; Cass. 15.5.2020, n. 8988; Cass. 25.11.2019, n. 30679;) deve escludersi la
sussistenza di un concorso di colpa del lavoratore infortunato o ammalato, ai
sensi dell'art. 1227 co. 1 cod.civ. (al di fuori dei casi cd. di rischio elettivo), quando
risulti che il datore di lavoro abbia omesso di adottare le prescritte misure di sicurezza,
dato che in tale ipotesi, l'eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera
occasione dell'evento dannoso ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante.

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In definitiva può considerarsi accertato che il consenso, espresso dal ricorrente
all’applicazione del sistema di retribuzione a cottimo, non determina la configurabilità a
suo carico di un concorso di colpa nell’aver cagionato le malattie di asserita origine
professionale, da cui afferma di essere affetto.
In ordine alla terza circostanza, vale a dire se le società datrici abbiano imposto e
controllato che la movimentazione dei carichi avvenisse in coppia:
i)
in relazione al periodo (17.6.1991-20.4.2015), in cui il ricorrente lavorava alle
dipendenze della società cedente yyy parte convenuta
nulla ha allegato e tanto meno provato;
ii)
in relazione al periodo (21.4.2015-7.8.2020), in cui il ricorrente lavorava alle dipendenze
della società cessionaria odierna convenuta yyy emergono elementi
in apparenza non concordanti:
 da un lato, come già evidenziato, nei documenti di valutazione dei rischi della società
convenuta per gli anni 2018 e 2019 (doc. 19 e 20 fasc. conv.) viene prescritto lo
“spostamento dei carichi di peso > di 25 kg in due persone” (pag. 26 di entrambi i
documenti); inoltre il teste kkk ha dichiarato: “Ho svolto il ruolo di
responsabile del servizio di prevenzione e protezione quale consulente esterno in
favore della società convenuta da aprile 2015 ad aprile 2019. In tale veste effettuavo
due sopralluoghi all’anno… In ordine alla movimentazione dei pezzi sfaldati, nelle
ipotesi di pezzi più pesanti, ho sensibilizzato i lavoratori a effettuarla in due” (parte
convenuta afferma anche che i lavoratori erano stati avvisati della necessità di
sollevare in due eventuali lastre che, per impossibilità di essere completamente
eliminate, superassero i pesi consentiti, almeno in occasione di un corso nel 2016 e di

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un corso nel 2018, come da doc. 15 e 16 fasc. conv., ma da questi documenti la
circostanza non emerge);
 dall’altro, il teste nnn ha dichiarato: “Di regola, la movimentazione avveniva a
cura di un solo operaio sfaldatore. Infatti non era possibile ricorrere troppo
frequentemente all’aiuto di un collega. Per i pezzi più pesanti era lo stesso operaio
sfaldatore che chiedeva l’intervento della pala. Ciò avveniva quando non era proprio
possibile operare la movimentazione a mano”; inoltre il teste mmm ha riferito:
“Di regola, la movimentazione avveniva a cura di un solo operaio sfaldatore. Il
richiedere ausilio ad un collega non era ben visto, dato che tutti lavoravamo a
cottimo. L’azienda non ha mai dato disposizione a che il singolo operaio sfaldatore o
cernitore richiedesse l’aiuto del collega qualora lo ritenesse necessario o in
presenza di specifici presupposti. Per i pezzi che l’operaio sfaldatore riteneva di non
essere in grado di movimentare a mano, egli aveva la possibilità di decidere di
chiedere l’intervento della pala. Ciò avveniva quando non era proprio possibile
operare la movimentazione a mano”.
A ben vedere il contrasto è solo apparente:
è provato per tabulas che la società convenuta yyy ha previsto in
sede di valutazione dei rischi per gli anni 2018 e 2019 che quanto meno le lastre di
maggiori dimensioni venissero movimentate in coppia;
in realtà si trattava di una disposizione, di cui le società convenuta non curava
l’attuazione, dato che il richiamo alla sua osservanza veniva formulato soltanto dal RSSP
in occasione dei due sopralluoghi che durante il periodo 2015-2019 effettuava nel corso
di ciascun anno; inoltre eloquenti in proposito appaiono le circostanze riferite con
dovizia di particolari e motivazione dai due lavoratori escussi quali testi, le cui
deposizioni sono state appena richiamate.

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In proposito occorre ricordare che, ai sensi dell’art.18 co. 1, lett. f) d.lgs. 81/2008 il
datore di lavoro deve “richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme
vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro
e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi
a loro disposizione”;
inoltre secondo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis, di recente,
Cass.pen. 20.3.2023, n. 11513; Cass. 4.2.2016, n. 2209; Cass. 13.10.2015, n. 20533;) il
datore di lavoro è responsabile dell'evento lesivo occorso al lavoratore, non solo quando
ometta di adottare le idonee misure protettive, ma anche quando non accerti e vigili che
queste misure vengano effettivamente osservate da parte del dipendente.
In definitiva deve considerarsi compiutamente accertato che:
 la società convenuta non ha assolto l’onere, incombente su di essa, di provare
l’avvenuto adempimento, da parte della società cedente yyy
unipersonale, nel periodo 17.6.1994-20.4.2015, dell’obbligo datoriale ex art. 2087
cod.civ. (dal 27.11.1994 anche ex art. 48 co.2 d.lgs. 626/1994 e dal 15.5.2008 anche
ex art. 168 d.lgs. 81/2008) di attuare la misura organizzativa volta a ridurre il rischio
di sovraccarico biomeccanico connesso alla movimentazione manuale dei carichi e
consistente nell’imporre che quella riguardante le lastre di maggiori dimensioni
venisse effettuata dai cernitori-sfaldatori in coppia;
 la società convenuta non ha adempiuto, in relazione al periodo 21.4.2020 - 7.8.12020,
l’obbligo di esigere dai cernitori-sfaldatori l’osservanza della disposizione secondo
cui le lastre di maggiori dimensioni dovevano essere movimentate in coppia.
f)
La società convenuta evidenzia che dalle verifiche condotte nell’ambito della
“valutazione del rischio da traumi cumulativi per l’attività manuale di prima

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lavorazione”, formulata, nel maggio 2011, da ppp consulente esterno
della cedente yyy:
 il tempo massimo effettivo di utilizzo della mazzetta (dal peso di 2 kg) per la
sfaldatura è pari a una media di circa 100 minuti/giorno (massimo 10% delle 8 h
lavorate),
 il tempo massimo effettivo di utilizzo della mazza (dal peso di 6-7 kg) per la
sfaldatura è pari a una media di circa 40 minuti/giorno (massimo 5% delle 8 h
lavorate);
in entrambi i casi si tratta di tempi non continuativi, ma intervallati dai tempi necessari
per lo svolgimento delle altre attività.
Tuttavia emerge dallo stesso documento che il consulente di parte datrice ha concluso:
“Dall’analisi svolta si evidenzia che la mansione di manovale cernitore è a rischio
medio per quanto riguarda il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori
indipendentemente dal ritmo di lavoro. Infatti, la forza necessaria per l'utilizzo di mazza
e mazzetta fa da solo crescere il rischio fino a medio. Dato il livello di rischio è
necessario attuare delle azioni per ridurre il rischio, sottoporre gli addetti a
sorveglianza sanitaria e a formazione specifica in merito a traumi cumulativi”.
Orbene, alla luce dell’esame degli atti di parte convenuta, dei documenti prodotti e
dell’istruttoria testimoniale espletata, non risultano assolti da parte della società
convenuta gli oneri di allegazione e di prova in ordine all’adempimento dell’obbligo ex
art. 2087 cod.civ. di attuare le azioni necessarie per ridurre il rischio di sovraccarico
biomeccanico degli arti superiori e dell’obbligo di impartire la formazione specifica in
merito ai traumi cumulativi. Infatti non emerge che le società datrici abbiano attuato
quelle azioni che lo stesso loro consulente già nel maggio 2011 aveva ritenuto necessarie
per la riduzione di quel rischio ed abbiano impartito quella formazione specifica.

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In definitiva deve considerarsi accertato che la società convenuta non ha assolto l’onere,
incombente su di essa, di provare l’avvenuto adempimento, nel periodo 1994-2020, degli
obblighi datoriali ex art. 2087 cod.civ. di attuare le azioni necessarie per ridurre il rischio
di sovraccarico biomeccanico degli arti superiori e di impartire la formazione specifica in
merito ai traumi cumulativi.
§4 i danni risarcibili e la necessità di un accertamento tecnico ai fini della decisione in
ordine alla domanda in merito proposta dal ricorrente
Il ricorrente xxx propone nei confronti della società convenuta
yyy – oltre alla domanda di risarcimento danno patrimoniale
emergente, costituito dal costo per l’assunzione delle “spese vive” sub doc, 13 fasc. ric. –
domanda di risarcimento del danno non patrimoniale rappresentato da:
 danno biologico temporaneo per 20 giorni al 75%, per 50 giorni al 50% e per 30
giorni al 25%;
 danno biologico permanente del 15% oltre a personalizzazione del 33,33% per
cenestesi lavorativa e per danno dinamico-relazionale eccezionale, con detrazione de
capitale afferente all’indennizzo per danno biologico erogato dall’I.N.A.I.L.;
 danno morale temporaneo e permanente pari al 25% del danno biologico
temporaneo e del danno biologico permanente liquidati;
- - -
La domanda di risarcimento afferente il danno non patrimoniale deve essere esaminata
alla luce dei consolidati orientamenti della Suprema Corte.
Nella presente controversia assumono particolare rilievo le considerazioni che seguono.

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a)
Alla luce dell’ormai celebre Cass. S.U. 26.11.2008, n. 26972 il danno non patrimoniale si
identifica con il danno (danno conseguenza) determinato dalla lesione di interessi
inerenti la persona non connotati da rilevanza economica (danno evento in senso
giuridico); quindi si differenzia dal danno patrimoniale in punto di danno evento ossia di
lesione dell’interesse protetto.
b)
Il risarcimento del danno non patrimoniale esige in primo luogo la sussistenza di tutti gli
elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile che consistono:
quanto all’elemento oggettivo,
 nella condotta commissiva od omissiva del danneggiante,
 nel nesso causale tra condotta ed evento di danno,
 nell’evento di danno connotato dall’ingiustizia determinata dalla lesione non
giustificata di interessi meritevoli di tutela (danno evento),
 nel pregiudizio che ne consegue (danno conseguenza);
quanto all’elemento soggettivo,
nel dolo o nella colpa, come espressamente previsto per l’illecito extracontrattuale
dall’art. 2043 cod.civ. e come desumibile dall’art. 1218 cod.civ. per l’illecito
contrattuale; a questo proposito è consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte
(ex plurimis, di recente, Cass. 25.10.2021, n. 29909; Cass. 25.1.2021, n. 1509; Cass.
15.7.2020, n. 15112;), secondo cui quella prevista dall’art. 2087 cod.civ. non costituisce
un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo necessario che la sua condotta,
commissiva od omissiva, sia sorretta da un elemento soggettivo, almeno colposo, quale il
difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno
per il lavoratore.

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Nel paragrafo §3, specie sub D), sono state accertate, all’esito dell’esame delle
allegazioni svolte e delle prove offerte dalle parti, sia costituite, sia costituende ed
espletate, le condotte imputate alle società datrici a titolo di colpa in quanto integranti la
violazione di norme (nominate e generale ex art. 2087 cod.civ.) di prevenzione dei rischi
di contrarre patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari.
L’evento di danno, allegato dal ricorrente, è rappresentato dall’insorgenza in suo
pregiudizio delle seguenti malattie:
 tendinopatia bilaterale cuffia dei rotatori spalla dx e sx, con minima disfunzionalità
dolorosa delle rotazioni,
 epicondilite calcifica gomito dx e sx ed epitrocleite calcifica gomito dx e sx,
 sindrome di De Quervain pollice dx con minimo inceppo funzionale,
 esiti chirurgici di intervento di sindrome da tunnel carpale dx con minimi disturbi
sensitivi,
 protrusioni discali multiple con lombalgia cronica da posture incongrue e
sovraccarico funzionale.
Si è già evidenziato nel paragrafo §3, specie sub A), che un compiuto accertamento in
proposito esige l’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio al quale porre il quesito se il
ricorrente sia effettivamente affetto dalle malattie, di cui afferma di essere portatore.
Anche l’accertamento del nesso causale tra le condotte colpose ascritte, alla luce delle
statuizioni contenute nella presente sentenza, a carico delle società datrici e le predette
malattie esige l’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio al quale porre il quesito se le
(eventuali) malattie, da cui il ricorrente risulti realmente affetto, costituiscano la
concretizzazione dei rischi morbigeni, cui il ricorrente è stato esposto in ragione dello
svolgimento delle sue prestazioni lavorative in favore delle società datrici e che gli
inadempimenti dell’obbligo di tutela della sicurezza e della salute del ricorrente, accertati

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a carico di queste ultime nell’odierna sentenza non definitiva non hanno consentito di
neutralizzare.
Anche la sussistenza ed, eventualmente, la quantificazione del danno conseguenza,
rappresentato da menomazioni temporanee e permanenti all’integrità psico-fisica derivate
dalle (asserite) malattie di (asserita) origine professionale, richiedono l’ausilio di un
consulente tecnico d’ufficio al quale porre il quesito se ed eventualmente in che misura il
ricorrente abbia subito, per effetto delle (asserite) tecnopatie, da cui risulterà affetto, i
danni non patrimoniali temporanei e permanenti, di cui chiede il risarcimento.
c)
A differenza del danno patrimoniale (il quale è connotato da atipicità poiché l’ingiustizia
del danno di cui all’art. 2043 cod.civ. postula la lesione di qualsiasi interesse
giuridicamente rilevante), il danno non patrimoniale è connotato da tipicità in quanto è
risarcibile solo nei casi determinati dalla legge (come prescrive l’art. 2059 cod.civ.) e nei
casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti
inviolabili della persona (in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai
diritti costituzionali inviolabili);
quindi la risarcibilità del danno non patrimoniale richiede, sul piano dell’ingiustizia del
danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno, selezione che
avviene a livello normativo negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di
interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua
della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente
presidiato dalla minima tutela risarcitoria;
in questa seconda ipotesi la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona
espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù
dell’apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito

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all’interprete rinvenire nel complesso sistema costituzionale indici che siano idonei a
valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti
per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della
persona umana.
d)
In virtù del disposto ex art. 185 cod.pen., nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri
come reato il danno non patrimoniale (danno conseguenza) è risarcibile non solo se
consegua alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, ma nella sua più ampia
accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non
presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento secondo il
criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 cod.civ.;
infatti in questo caso la tipicità deriva dalla scelta del legislatore di considerare risarcibili
i danni non patrimoniali cagionati da reato, scelta che comunque implica la
considerazione della rilevanza dell’interesse leso, desumibile dalla predisposizione della
tutela penale.
e)
Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della
minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili
della persona (danno evento) che abbia determinato un danno non patrimoniale (danno
conseguenza) comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della
responsabilità, contrattuale o extracontrattuale;
quindi, se l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli
obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto
inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale

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potrà essere versata nell’azione di responsabilità contrattuale (senza dover ricorrere
all’espediente del cumulo di azioni).
f)
L’individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi
nell’area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere
non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del negozio, da intendersi
come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del
modello, anche tipico, adoperato.
L’esigenza di accertare se, in concreto, il contratto tenda alla realizzazione anche di
interessi non patrimoniali, eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona,
viene meno nel caso in cui l’inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della
legge;
è questo il caso del contratto di lavoro, in riferimento al quale l’art. 2087 cod.civ.,
inserendo nell’area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di valutazione
economica (l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro) già implica,
che nel caso in cui l’inadempimento abbia provocato la loro lesione, è dovuto il
risarcimento del danno non patrimoniale;
il presidio di detti interessi della persona ad opera della Costituzione, che li ha elevati a
diritti inviolabili, ha poi rinforzato la tutela, con la conseguenza che la loro lesione è
suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenza sotto il profilo
dell’integrità psicofisica (art. 32 Cost.) secondo le modalità del danno biologico, o della
lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 Cost.), come avviene nel caso
dei pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvono nella
compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del lavoratore che si
svolge nella formazione sociale costituita dall’impresa.

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g)
Il danno non patrimoniale costituisce una categoria unitaria non suscettiva di
suddivisione in sottocategorie.
Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno
biologico, danno da perdita del rapporto parentale, danno morale, danno esistenziale)
risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di
danno;
quindi il compito del giudice è l’accertamento dell’effettiva consistenza del pregiudizio
allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quale ripercussioni negative
sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione;
infatti il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve
ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre.
Il danno biologico, consistente nel pregiudizio all’integrità psico-fisica della persona,
costituisce certamente conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona
espressamente riconosciuto dalla Costituzione, qual è il diritto alla salute ex art. 32 Cost.;
lo stesso vale per il danno consistente nella perdita del rapporto parentale, il quale attiene
alla lesione dei diritti della famiglia ex artt. 2, 29 e 30 Cost..
Di contro il danno morale – consistente nella sofferenza soggettiva in sé considerata ed
attinente alla sfera interiore del sentire ovvero nel turbamento d’animo o nel dolore
intimo (la cui intensità e durata nel tempo assume rilevanza ai fini solo della
quantificazione del risarcimento e non già dell’esistenza del danno, con conseguente
abbandono della tradizione figura del cd. danno morale soggettivo transeunte) – ed il
danno esistenziale – indicante pregiudizi di ordine esistenziale, quali il peggioramento
della qualità della vita, l’alterazione del fare non reddituale, l’adottare nella vita di tutti i


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giorni comportamenti diversi da quelli passati – non costituiscono necessariamente
conseguenza della lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti;
nell’ipotesi in cui il fatto illecito integri un reato essi sono, grazie al disposto ex art. 185
c.p.(che stabilisce la generale risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da reato),
suscettibili di risarcimento non solo quando siano conseguenza della lesione di diritti
costituzionalmente inviolabili, ma anche quando siano conseguenza della lesione di
interessi meritevoli di tutela in base all’ordinamento positivo (ivi comprese le
convenzioni internazionali) ossia sussista il requisito dell’ingiustizia generica secondo
l’art. 2043 cod.civ.;
in assenza di reato (ed al di fuori dei casi determinati dalla legge) essi sono risarcibili
purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente
riconosciuto.
E’ indubbio che nel caso di specie i fatti illeciti configurabili a carico delle società datrici
del ricorrente sono idonei a integrare un reato perseguibile d’ufficio, ossia, più
precisamente, il delitto di lesioni personali colpose aggravate ex art. 590 co.1, 2 e 3
cod.pen..
In proposito è opportuno ricordare che secondo il consolidato orientamento della
Suprema Corte (ex plurimis, di recente, Cass. 4.8.2023, n. 23878; Cass. 15.11.2022, n.
33639; Cass. 2.11.2020, n. 24202;), secondo cui non solo la violazione delle misure
nominate di prevenzione contenute nelle leggi di settore, ma anche l’inadempimento degli
obblighi previsti dall’art. 2087 cod.civ., costituente norma di cautela eterointegratrice del
regolamento contrattuale, è in grado di fondare la responsabilità penale colposa.
Ciò rileva non tanto in ordine ai pregiudizi all’integrità psico-fisica (i quali conseguono
sempre alla lesione di un diritto inviolabile della persona qual è il diritto alla salute ex art.
32 Cost.), ma per il turbamento di animo ed i pregiudizi di ordine esistenziale.

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Può aggiungersi che i pregiudizi all’integrità fisica ed alla personalità morale del
lavoratore sono nel caso di specie suscettibili di risarcimento anche nell’ambito della
responsabilità contrattuale del datore di lavoro, concernendo interessi inseriti nell’area del
rapporto di lavoro dall’art. 2087 cod.civ. ed elevati a diritti inviolabili della persona quale
il diritto alla salute (art. 32 Cost.) ed il diritto alla dignità personale (art. 2, 4 e 32 Cost.).
h)
Al danno biologico viene riconosciuta una portata tendenzialmente omnicomprensiva
specialmente alla luce della definizione normativa adottata dal d.lgs. 209/2005 (“per
danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psicofisica
della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, si esplica un'incidenza negativa
sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico- relazionali della vita del danneggiato,
indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”);
ciò comporta che non sono suscettibili di autonomo risarcimento, ma rientrano nell’area
del danno biologico, la sofferenza psichica (ovvero il turbamento dell’animo o dolore
intimo) ed i pregiudizi esistenziali che derivino da lesioni all’integrità psico-fisica o
determinino degenerazioni patologiche di tipo psico-fisico;
in tali casi il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, dovrà procedere ad adeguata
personalizzazione della liquidazione del danno biologico e non già al riconoscimento ed
al risarcimento di ulteriori e distinti danni, magari in percentuale del danno biologico.
- - -
In realtà nel caso di specie i pregiudizi di ordine esistenziale vengono prospettati dal
ricorrente quali conseguenze delle lesioni all’integrità psico-fisica subite per effetto delle
malattie, da cui afferma di essere affetto e di cui sostiene l’origine professionale;
quindi tali pregiudizi non sono suscettibili di autonomo risarcimento e neppure possono
essere liquidati in base ad una percentuale del danno biologico, ma la loro sussistenza

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esige che il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, proceda ad adeguata
personalizzazione della liquidazione del danno biologico al fine di procedere all’integrale
riparazione delle ripercussioni negative sul valore-uomo subite dal ricorrente infortunato.
i)
Inoltre si è evidenziato (ex multis Cass. 22.5.2018, n. 12572; Cass. 9.10.2015, n. 20312;
Cass. 25.8.2014. n. 18161; Cass. 25.5.2007, n. 12247; Cass. 2.2.2007, n. 2311;) che in
caso di illecito lesivo dell'integrità psico - fisica della persona, la riduzione della capacità
lavorativa generica – quale potenziale attitudine all'attività lavorativa intesa come qualità
della vita essenziale attinente alla cd. produttività dell'uomo e costituita dalla capacità di
agire operosamente, a prescindere dai risultati o dai campi di azione – rientra nella sfera
del danno biologico, nel quale si ricomprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo
che incidono sul bene della salute in sé considerato, con la conseguenza che il
pregiudizio alla capacità lavorativa generica non può formare oggetto di autonomo
risarcimento come danno patrimoniale, che andrà, invece, autonomamente liquidato,
qualora alla detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione
della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo a una riduzione della
capacità di guadagno.
Si è ulteriormente precisato (Cass. 12572/2018 cit.; Cass. 20312/2015 cit.; Cass.
24.3.2004, n. 5840;) che – stante la risarcibilità del danno patrimoniale soltanto quando
sia riscontrabile l’eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre
reddito – il danno consistente nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello
svolgimento dell'attività lavorativa, ma non incidente neanche sotto il profilo delle
opportunità sul reddito della persona offesa ossia della perdita di chance (cd. danno da
lesione della “cenestesi lavorativa”), risolvendosi in una compromissione biologica
dell'essenza dell'individuo, va liquidato nell’ambito del danno biologico; a tal fine il

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giudice, ove abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore
differenziato del punto di invalidità, ben può liquidare la componente costituita dal
pregiudizio della “cenestesi lavorativa” mediante un appesantimento del valore
monetario di ciascun punto, restando invece non consentito il ricorso al parametro del
reddito percepito dal soggetto leso.
l)
Quanto all’interferenza delle regole che presiedono il sistema di assicurazione
obbligatorio contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nei giudizi promossi
dal lavoratore per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, asseritamente subiti in
conseguenza di inadempimenti del datore di lavoro connessi all'espletamento dell'attività
lavorativa – secondo l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis, di
recente, Cass. 5.12.2023, n. 33956; Cass. 23878/2023 cit.; Cass. 4.8.2023, n. 23861; Cass.
12.7.2023, n. 19903; Cass. 7.2.2023, n. 3694;) le somme eventualmente versate
dall’I.N.A.I.L. a titolo di indennizzo ex art. 13 d.lgs 23.2.2000, n. 38 non possono
considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in
capo al soggetto infortunato o ammalato, sicché, a fronte di una domanda del lavoratore
che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all'espletamento
dell'attività lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, dovrà
verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive
per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite
dal d.P.R. 30.6.1965, n. 1124 ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla
verifica dell'applicabilità dell'art. 10 del decreto citato, ossia:
 all'individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura
assicurativa obbligatoria gestita da I.N.A.I.L. (cd. "danni complementari"), da
risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile, non trovando

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applicazione l’esonero ex art. 10 d.P.R. 1124/1965, alla luce di quanto statuito da
Corte cost. n. 356 del 1991, secondo cui “…L’esonero ... opera all’interno e
nell’ambito dell’oggetto dell’assicurazione, così come delimitata dai suoi presupposti
soggettivi ed oggettivi. Laddove la copertura assicurativa non interviene per
mancanza di quei presupposti soggettivi ed oggettivi non opera l’esonero: e pur
trovando il danno origine dalla prestazione di lavoro, la responsabilità è disciplinata
dal codice civile senza i limiti posti dall’art.10 del T.U. del 1965. Come è stato
affermato in sintesi in dottrina, se non si fa luogo alla prestazione previdenziale, non
vi è assicurazione: mancando l’assicurazione cade l’esonero”);
 solo ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi
di un reato perseguibile di ufficio, alla determinazione dell'eventuale danno biologico
da menomazioni permanenti differenziale, valutando il complessivo valore monetario
del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni,
dal quale detrarre quanto indennizzabile dall'I.N.A.I.L. in base ai parametri legali, in
relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno
patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure
dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto
all'indennizzo, ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo
stesso.
In definitiva il ricorrente, sussistendo i necessari presupposti, potrà aver diritto di
ottenere dalla parte convenuta:
 l’integrale risarcimento dei cd. danni complementari (nei quali rientrano
pacificamente i danni non patrimoniali diversi dal danno biologico da menomazione
permanente) ed estranei alla sfera di operatività dell’assicurazione obbligatoria contro
gli infortuni e le malattie professionali;

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 il risarcimento del cd. danno differenziale ossia del danno biologico da menomazione
permanente eccedente l’ammontare dell’indennizzo erogato a tale titolo
dall’I.N.A.I.L.
- - -
Con ordinanza ex art. 279 co.2 cod.proc.civ. vengono impartiti i provvedimenti per
l’ulteriore istruzione della causa, in particolare la nomina del c.t.u..
La pronuncia sulle spese è differita alla sentenza definitiva.
P.Q.M.
Il tribunale ordinario di Trento - sezione per le controversie di lavoro, in persona del
giudice istruttore, in funzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim, NON
definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide:
1. Accerta che la società convenuta yyy non ha assolto l’onere,
incombente su di essa, di provare l’avvenuto adempimento, nel periodo 1994-2014,
degli obblighi datoriali, di valutazione dei rischi in azienda per la sicurezza e la salute
dei lavoratori e di indicazione delle misure di prevenzione e protezione adottate e da
realizzare, prescritti dall’art. 4 d.lgs. 19.9.1994, n. 626 e dagli artt. 17 e 28 d.lgs.
9.4.2008, n. 81.
2. Accerta che la società convenuta non ha assolto l’onere, incombente su di essa, di
provare l’avvenuto adempimento, nel periodo 1994-2020, dell’obbligo datoriale di
individuare, con sufficiente concretezza e precisione, le caratteristiche dei carichi che
gli addetti alla sfaldatura dovevano movimentare (come prescritto dal punto l
dell’allegato VII al d.lgs. 626/1994 e dell’allegato XXXIII al d.lgs. 81/2008) e di
fornire in modo sufficientemente specifico agli addetti alla sfaldatura le informazioni

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riguardanti il peso dei carichi che dovevano movimentare, come imponeva l’art. 49
co.1 d.lgs. 626/1994 e l’art. 169 co.1, lett. a) d.lgs. 81/2008.
3. Accerta che la società cedente yyy ha adempiuto
tardivamente l’obbligo prescritto dall’art. 2087 cod.civ., dall’art. 4 co.5, lett. b) d.lgs.
626/1994 e dall’ art. 48 d.lgs. 626/1994, di ricorrere a mezzi appropriati, in
particolare ad attrezzature meccaniche, da individuarsi in base al parametro della più
elevata sicurezza tecnologicamente possibile e in relazione al grado di evoluzione
della tecnica della prevenzione e della protezione, al fine di evitare o, quanto meno,
di limitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi durante lo
svolgimento delle attività di cernita e di prima lavorazione (sfaldatura e
accatastamento/imbancalatura).
4. Accerta che è accaduto che il ricorrente dovesse imbancalare le lastre di maggiori
dimensioni senza potersi avvalere dell’ausilio dei sollevatori automatici.
5. Dichiara che il consenso, espresso dal ricorrente all’applicazione del sistema di
retribuzione a cottimo, non determina la configurabilità a suo carico di un concorso
di colpa nell’aver cagionato le malattie di asserita origine professionale, da cui
afferma di essere affetto.
6. Accerta che la società convenuta non ha assolto l’onere, incombente su di essa, di
provare l’avvenuto adempimento, da parte della società cedente yyy
unipersonale, nel periodo 17.6.1994-20.4.2015, dell’obbligo datoriale ex art. 2087
cod.civ. (dal 27.11.1994 anche ex art. 48 co.2 d.lgs. 626/1994 e dal 15.5.2008 anche
ex art. 168 d.lgs. 81/2008) di attuare la misura organizzativa volta a ridurre il rischio
di sovraccarico biomeccanico connesso alla movimentazione manuale dei carichi e
consistente nell’imporre che quella riguardante le lastre di maggiori dimensioni
venisse effettuata dai cernitori-sfaldatori in coppia.

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7. Accerta che la società convenuta non ha adempiuto, in relazione al periodo 21.4.2015
- 7.8.2020, l’obbligo di esigere dai cernitori-sfaldatori l’osservanza della disposizione
secondo cui le lastre di maggiori dimensioni dovevano essere movimentate in coppia.
8. Riserva alla definizione del giudizio la pronuncia sulla liquidazione delle spese.
9. Dispone con separata ordinanza per il proseguimento della trattazione.
Trento, 27 febbraio 2023
IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO IL GIUDICE
dott. Andrea Tabarelli dott. Giorgio Flaim

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