Sentenza n. 44/2023 pubbl. il 30/11/2023 RG n. 81/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROVERETO
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto dott. Michele Cuccaro ha pronunciato la seguente sentenza nella causa iscritta sub. nr. 81/2023 R.G., promossa con ricorso depositato il 20.07.2023 da:
XXX, con l’avv. Giovanni Guarini del Foro di Rovereto, giusta delega allegata al ricorso
RICORRENTE
contro
YYY con gli avv.ti Andrea Antonio Enrico Barelli e Massimo Longo, giusta delega allegata alla memoria di costituzione
In punto: impugnazione licenziamento
CONCLUSIONI
Ricorrente: “Voglia il Tribunale, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, a) accertare e dichiarare la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità e comunque annullare il licenziamento intimato dalla convenuta YYY al ricorrente XXX con lettera datata 23.12.2022 e conseguentemente:
in via principale, b) condannare la convenuta YYY in persona del legale rappresentante pro tempore, a reintegrare il ricorrente XXX nel posto di lavoro e a pagargli, a titolo di indennità risarcitoria ex art. 18, comma 2 o in subordine comma 4, S.L., una somma pari alla retribuzione globale di fatto maturata e maturanda dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, da calcolarsi sull’importo mensile di € 2.601,155 ovvero sul diverso importo ritenuto di giustizia, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali ai sensi dell’art. 18, comma 2 o in subordine comma 4, S.L.;
in subordine: c) condannare la convenuta in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare al ricorrente a titolo di indennità risarcitoria ex art. 18, comma 5, S.L., una somma che il Giudice vorrà determinare tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto del ricorrente, da calcolarsi sull’importo mensile di € 2.601,155 ovvero sul diverso importo ritenuto di giustizia”.
In via istruttoria come nel ricorso introduttivo.
Convenuta: “Voglia il Tribunale di Rovereto, contrariis rejectis, nel merito: - Rigettare le domande tutte per le ragioni ed i motivi di cui alla presente memoria.
- Con vittoria di spese e compensi di causa, oltre IVA e CPA, in favore dei sottoscritti procuratori.”.
In via istruttoria come nella memoria di costituzione.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso dd. 20 luglio 2023, XXX impugnava il licenziamento per superamento del periodo di comporto comunicatogli da YYY. il 23 dicembre 2022, esponendo di aver lavorato alle sue dipendenze dal 1 giugno 2012, con inquadramento come operaio IV° livello del CCNL Metalmeccanici Industria. Il ricorrente narrava di soffrire da lungo tempo di una gonalgia bilaterale, che l’aveva costretto a diversi periodi di malattia e ad un intervento chirurgico e ne comprometteva le abilità di locomozione e, più in generale, la qualità di vita. Riferiva che tale patologia gli impediva di svolgere le proprie mansioni – consistenti nell’assemblaggio e nella movimentazione, con l’ausilio di macchinari, di pezzi metallici pesanti – in condizioni di parità con gli altri lavoratori e riteneva, quindi, che le sue condizioni rientrassero nella definizione di handicap adottata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’interpretazione della Direttiva 2000/78/CE. Riteneva, allora, il licenziamento discriminatorio, e ne chiedeva l’accertamento della nullità, con condanna della società convenuta alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità prevista dall’art. 18 c. 1 e 2 St. Lav.
Il lavoratore, inoltre, sosteneva che il licenziamento fosse illegittimo anche qualora se ne negasse la natura discriminatoria dovuta al suo stato di disabilità. Secondo la sua ricostruzione il periodo di comporto non poteva dirsi superato: alla sua situazione individuale non era applicabile il contratto collettivo Cisal- Anpit, come voleva l’azienda datrice, perché la FIOM, il sindacato maggioritario in azienda e cui era stato iscritto tra il 2020 e il 2022, non risultava tra i firmatari. Da tale circostanza doveva derivare l’applicazione del CCNL Metalmeccanici indicato nella lettera di assunzione, che prevede un periodo di comporto più lungo.
In ogni caso, a detta del ricorrente, il periodo di comporto non poteva dirsi superato nemmeno applicando il contratto collettivo Cisal-Anpit: l’interpretazione proposta dalla datrice di lavoro – che vanificava l’anzianità di servizio del lavoratore al fine di applicargli il più breve dei termini previsti nell’accordo – non era corretta.
In via subordinata, allora, il lavoratore chiedeva l’applicazione della tutela reale prevista dall’art. 18 c. 7 e 4 St. Lav., o, in via ulteriormente subordinata, di quella risarcitoria prevista dall’art. 18 c. 5 St. Lav.
In sede di prima udienza, era dichiarata la contumacia della convenuta YYY che si costituiva in giudizio tardivamente con memoria dd. 9 ottobre 2023, con conseguente decadenza da tutte le istanze istruttorie formulate.
Con la comparsa, l’azienda chiedeva il rigetto di ogni pretesa del ricorrente. A sostegno della propria impostazione, spiegava che il licenziamento non poteva considerarsi discriminatorio, perché le condizioni di salute del ricorrente non erano riconducibili alla nozione di disabilità, né di diritto interno, né di diritto europeo; riferiva che il contratto Cisal-Anpit doveva ritenersi l’unico applicabile, poiché l’azienda aveva regolarmente disdetto il precedente e abbandonato l’associazione firmataria Federmeccanica; riteneva che il periodo di comporto era stato di certo superato, essendo l’interpretazione dell’accordo Cisal-Anpit contestata dal ricorrente imposta dalla lettera del contratto.
Esperito l’interrogatorio formale del legale rappresentante della convenuta, la causa era rinviata all'udienza odierna, ove veniva decisa come da dispositivo letto pubblicamente ed era contestualmente depositata la presente sentenza.
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La domanda proposta in via principale dal ricorrente dev’essere accolta.
Risulta fondata, infatti, la ricostruzione della difesa del lavoratore, secondo cui il licenziamento subito da quest’ultimo è nullo in quanto discriminatorio, con conseguente applicazione dei primi due commi dell’art. 18 St. Lav.
Le condizioni sanitarie del ricorrente rientrano nella definizione di disabilità elaborata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La gonalgia sofferta dal lavoratore è di certo di lunga durata e rappresenta una minorazione fisica idonea a ostacolare la sua partecipazione in condizioni di parità alla vita professionale. Ciò anche alla luce delle attività da egli concretamente svolte, consistenti principalmente nella movimentazione, con l’ausilio di macchinari, di pesanti pezzi metallici. Quanto appena affermato è ampiamente dimostrato dalla copiosa documentazione medica versata in atti dal ricorrente; la società convenuta, costituitasi tardivamente in giudizio, è, peraltro, decaduta dalla possibilità di introdurre eventuali evidenze istruttorie di segno contrario. Risultano, allora, pienamente integrati tutti i requisiti elaborati dalla giurisprudenza di rango eurounitario perché una patologia sia considerabile disabilità ai fini del diritto antidiscriminatorio (cfr. in particolare CGUE 18 gennaio 2018 C-270/16, Ruiz Conejero; CGUE 11 aprile 2013 C-335/11 e C-337/11, HK Danmark).
Ai fini dell’accertamento di eventuali condotte discriminatorie sul luogo di lavoro, non rileva che la disabilità non sia stata riconosciuta ai sensi della L. 104/1992, della L. 68/1999 o, comunque, non rientri nelle varie definizioni di inidoneità o inabilità dettate da discipline settoriali di diritto interno. Non esiste, infatti, una definizione di disabilità univoca tra i vari settori dell’ordinamento e, in ambito giuslavoristico, la condizione di disabilità dipende solo dall’accertamento della menomazione fisica del lavoratore (Cass. 23338/2018; Trib. Milano sez. lav. 12 giugno 2019).
Tanto chiarito, il licenziamento per superamento del periodo di comporto subito dal ricorrente è di certo nullo: l’applicazione di un periodo di comporto di uguale durata tra lavoratori non disabili e disabili rappresenta, di per sé, una condotta discriminatoria (cfr. da ultimo Cass. civ. 9095/2023), e l’applicazione di eventuali norme di un contratto collettivo che non prevedano tale distinzione – come quello Cisal-Anpit indicato dalla datrice di lavoro – rappresenta una palese violazione di legge. Inoltre, la società convenuta – costituitasi tardivamente in giudizio e decaduta da ogni richiesta istruttoria - non ha, chiaramente, offerto la dimostrazione di aver adempiuto all’obbligo di predisporre accomodamenti ragionevoli in favore della conservazione del posto di lavoro del disabile. Tale onere della prova incombe sul datore di lavoro; a tal proposito, non può trascurarsi che YYY ha omesso di informare, in qualunque modo, il dipendente dell’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto. Anche alla luce della particolare interpretazione del contratto collettivo Cisal-Anpit adottata dall’azienda, pare lecito far rientrare tale avvertimento tra gli accomodamenti ragionevoli che la datrice di lavoro aveva il dovere di predisporre in favore del dipendente disabile (in tal senso, cfr. Corte d’Appello di Trento, sentenza n. 8 del 09/03/2023). Lo stesso contratto Cisal- Anpit permette, infatti, al lavoratore di usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita al fine di allungare il periodo in cui conserva il diritto alla conservazione del posto di lavoro; il lavoratore ha comunicato all’azienda l’intenzione di avvalersi di tale diritto, ma solo dopo che il periodo di comporto, nell’interpretazione dell’azienda, era già scaduto. L’avvertimento preventivo al lavoratore avrebbe di certo consentito di vagliare con maggiore attenzione tale possibilità. La condotta di YYY dunque, risulta illegittima anche dal punto di vista del dovere di predisposizione di accomodamenti ragionevoli: ciò rappresenta un ulteriore elemento di discriminazione che porta alla nullità del licenziamento.
L’accertamento della natura discriminatoria del licenziamento rende superflua l’analisi degli ulteriori motivi di ricorso, riguardanti il contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro e l’interpretazione della disciplina del periodo di comporto contenuta nel contratto Cisal-Anpit.
In definitiva, la convenuta va condannata a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato ed a corrispondergli un’indennità commisurata ad una retribuzione globale di fatto di Euro 2.601,15 – importo non oggetto di contestazione tra le parti - mensili dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Spese
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza
P.Q.M.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Rovereto, definitivamente pronunciando,
ogni contraria istanza ed eccezione respinta, così provvede:
1) accerta e dichiara la nullità del licenziamento intimato al ricorrente in
data 23/12/2022 e, per l’effetto, condanna la convenuta a reintegrarlo nel posto di lavoro precedentemente occupato ed a corrispondergli un’indennità commisurata ad una retribuzione globale di fatto di Euro 2.601,15 mensili dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed
assistenziali;
2) condanna la convenuta al pagamento in favore del ricorrente – e, per esso, del difensore antistatario - delle spese legali, che liquida in € 6.000, oltre IVA, CNPA e 15%.
Così deciso in Rovereto il 30 novembre 2023
Il Giudice - dott. Michele Cuccaro –