Va riconosciuto lo status di rifugiato alla donna nigeriana vittima di tratta

Tribunale di Trento decreto 31/01/2023 RG 480/2019 Giudice rel Dr. Luca Perilli
Sentenza in sintesi:
testo della sentenza:

TRIBUNALE DI TRENTO

Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e

libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea

Il Tribunale di Trento in composizione collegiale riunito in camera di consiglio nelle persone

dei magistrati:

dott. Luca Perilli Presidente relatore

dott. Enrico Borrelli Giudice

dott.ssa Marta Schiavo Giudice

ha pronunciato il seguente

DECRETO

nel procedimento camerale ex artt. 35 bis D. Lgs. 25/08 e 737 e ss. c.p.c.,

promosso da

XXX ,

rappresentata e difesa, in forza di procura rilasciata a margine di atto di costituzione di nuovo

procuratore depositato l’08.11.2020, dall’avv.to Claudio Robol del Foro di Rovereto, con

domicilio eletto presso il suo studio , in Rovereto, corso Rosmini n. 53;

-ricorrente

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore - Commissione Territoriale per

il riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona;

-resistente -

con l’intervento obbligatorio del

PUBBLICO MINISTERO

Oggetto: ricorso ex artt. 35 e segg. D. Lgs. 25/2008 per il riconoscimento della protezione

internazionale.

FATTO

§ Svolgimento del procedimento

Con ricorso ex art. 35 D.Lgs. 25/2008 depositato il 17.02.2019, la ricorrente ha proposto

opposizione al provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla

Commissione territoriale di Verona il 07.11.2018 e notificato alla ricorrente il 18.01.2019.

Risulta dunque rispettato il termine di legge di trenta giorni per la proposizione del ricorso

previsto, a pena di inammissibilità dell’opposizione, dal comma 2 dell’art. 35 bis D.Lgs.

25/2008.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, tramite la Commissione territoriale, con

comparsa depositata il 26.02.2019, con la quale ha richiamato il contenuto del provvedimento di

diniego ed ha prodotto gli atti della fase procedimentale svolta innanzi a sé.

Con decreto del 18 febbraio 2019, in conformità al principio stabilito dalla sentenza n.

17717/2018 della Corte di cassazione, il giudice ha fissato udienza per la comparizione della

ricorrente al 12.07.2022, alla quale la ricorrente è comparsa.

L’udienza di precisazione delle conclusioni si è tenuta il 20 dicembre 2019 e la causa è stata

trattenuta in decisione collegiale.

La ricorrente è stato ammessa al patrocinio a spese dello Stato dal Consiglio dell’Ordine degli

Avvocati di Trento con delibera assunta il 12.09.2022 su domanda n. 391.

§ I fatti di causa

La ricorrente, sprovvista di documenti di identificazione, ha affermato di essere cittadina della

Nigeria e di avere fatto ingresso in Italia il 07.04.2017 attraverso la frontiera marittima della

Sicilia, dopo avere attraversato Niger e Libia. .

Ella ha presentato domanda di protezione internazionale, tramite la compilazione del modello

C3, in data 25 maggio 2017 presso la Questura di Trento.

La ricorrente ha svolto l’audizione davanti alla Commissione territoriale in data 17.10.2018

e, parlando in lingua pidgin English, assistita da un interprete, ha dichiarato quanto segue:

- di essere cittadina della Nigeria;

- di essere nata a Kwale in Delta State e di essere stata portata a Benin City dalla madre

quando era bambina;

- di essere di etnia kwale;

- di professare la religione cristiana pentecostale;

- di parlare le lingue kwale, inglese e un po’ d’italiano, oltre al pidgin English con cui ha

sostenuto l’audizione;.

- di aver studiato in Nigeria per tre anni ma di avere imparato a leggere e scrivere solo al

suo arrivo in Italia;

- di avere lavorato in Nigeria come apprendista parrucchiera ma di non avere completato

l’apprendistato;

- quanto alla composizione della famiglia di origine, di avere perso entrambi i genitori, di

non sapere quando sia morto il padre ma di avere saputo dalla madre che ciò accadde

quando lei era piccola; per questo motivo la madre la portò a Benin City; che un fratello

minore è morto per una malattia quando la ricorrente era ancora piccola;

- di non essere sposata e di non avere figli.

Quanto ai motivi che l’hanno indotta a espatriare, la ricorrente ha, nel racconto libero,

dichiarato quanto segue: “Mia madre mi ha detto che mio padre è andato in viaggio e siccome

abitiamo in un villaggio, il nostro terreno contiene petrolio. Le persone che hanno venduto il

pezzo di terra a mio padre hanno chiesto indietro quel terreno perché hanno scoperto che c’era

del petrolio. Hanno detto a mio padre di non mettere mai più piede su quel pezzo di terra ma lui

ci è tornato senza sapere che avevano organizzato un’imboscata contro di lui e l’hanno

sparato. Mia madre ha iniziato a piangere e hanno detto a mia madre di non mettere mai piede

su quel pezzo di terra. Hanno minacciato mia madre che se l’avessero vista tornare su quel

terreno per fare il raccolto, l’avrebbero uccisa come hanno ucciso mio padre. Dato che non

avevamo altro per sopravvivere mia madre mi ha portata a Benin City. Ho imparato il lavoro

di parrucchiera ma non avevo altro da offrire a mia madre per aiutarla e una donna mi ha

detto che mi avrebbero aiutato. Lei ha detto che aveva un lavoro in Italia e una volta giunte in

Italia avrebbe aperto un’attività di parrucchiera per me in modo da poter aiutare mia madre.

Lei mi ha portata via dalla Nigeria e siamo arrivando in Libia dove mi ha detto che non aveva

intenzione di portarmi via dalla Libia. Le ho chiesto perché voleva lasciarmi in Libia visto che

aveva promesso di portarmi in Italia e lei mi ha detto che lei vive in Libia e lì avrei dovuto

restituirle i soldi. Le ho chiesto che lavoro avrei potuto svolgere e lei ha detto che avrei dovuto

prostituirmi. Io ho detto che non volevo farlo e le ho chiesto di darmi il telefono per chiamare

mia madre. Quando ho chiamato mia madre e le ho raccontato quello che mi stava capitando,

lei ha iniziato a piangere e ha iniziato a preoccuparsi per me. Dato che mi sono rifiutata di

prostituirmi lei ha rifiutato di darmi da mangiare. Lì c’era una ragazza che cucinava e mi

portava ogni tanto qualcosa da mangiare. Questo mi ha consentito di andare avanti. Un giorno

mi ha trascinata fuori e ha detto che io non la stavo ripagando e lei mi ha picchiata, con un

mestolo e mi ha rotto il dente. Poi mi ha pugnalata alla schiena. Mi ha picchiata così forte che

perdevo tanto sangue. Un uomo che portava del semolino mi ha visto e mi ha chiesto come mai

si fosse tanto arrabbiata con me e la donna ha risposto che io non volevo darle i suoi soldi e la

signora ha detto a quest’uomo arabo la somma che le dovevo ma non so che cifra fosse. Lui

allora ha chiesto alla donna di parlarle e dopo aver parlato lei mi ha detto di vestirmi e di

seguire l’arabo. Le ho chiesto cosa volesse l’arabo da me e lei ha detto che voleva che facessi

le pulizie per lui. I soldi che avrebbe dovuto dare lui a me li dava alla signora per restituire i

soldi che dovevo alla donna. In quel periodo è scoppiata la guerra e lui mi ha portata in mare e

mi ha fatta imbarcare. Mentre ero ancora in Libia in attesa di essere imbarcata, la donna ha

iniziato a telefonarmi dicendomi che il pagamento che le dovevo non era stato completato e se

non avessi finito di pagarla mi avrebbe ucciso. Mi ha detto che mi avrebbe ucciso perché tanto

non ho nessuno che avrebbe potuto chiedere di me, dal momento che non ho più i genitori”.

A domande della Commissione ha risposto che:

- che la donna la avvistò nel negozio di parrucchiera in cui ella svolgeva attività di

apprendistato e prese informazioni su dove abitasse;

- si recò a casa sua e vide sua madre piangere perchè non “avevano più nulla”; mentre lei

le “faceva le treccine” le fece domande su quando avrebbe terminato l’apprendistato

come parrucchiera, apprendendo da lei che non aveva i soldi per completare il percorso

di tirocinio;

- allora le promise di aiutarla, portandola in Italia dove le avrebbe fatto completare

l’apprendistato e le avrebbe aperto un negozio di parrucchiera;

- era una donna alta e grassa di Benin City che lei conobbe due mesi prima della partenza;

- che la donna si occupò del viaggio; che presero un taxi da Benin City per arrivare in un

posto che “non era più Nigeria”; che lì le fecero salire su di un pick up per arrivare ad

Agadez; che la donna portava con sé altre due ragazze, più alte della ricorrente; che

impiegarono una settimana per raggiungere la Libia;

- che nel luogo in cui giunsero in Libia si trovavano altre ragazze che, vedendo la donna,

dissero: “La mamma è tornata!”; il giorno seguente chiese alla signora quando sarebbero

ripartite ma lei rispose “Dove pensi di andare?”; disse che quella sarebbe stata l’ultima

fermata; le permise di dormire da lei per i primi due giorni; le dette da mangiare ma, la

settimana seguente, le chiese di andare a lavorare;

- che, dopo due giorni, la donna le disse che avrebbe dovuto prostituirsi; si trovavano a

Colombia, in Libia; “la donna aveva una camera in una connection house che aveva

affittato da una persona, degli arabi. C’erano tane donne lì che si prostituivano.

Venivano uomini di tutte le nazionalità per dormire con le ragazze”;

- che di notte la donna la “chiudeva fuori” e la ricorrente andava “a dormire in quella casa

abbandonata”; al mattino presto tornava alla connection house; la donna le chiedeva “i

soldi che le dovevo pagare e mi diceva che se non l’avessi pagata mi avrebbe uccisa”;

una mattina la donna la prese per la camicia e cominciò a picchiarla, finchè arrivò

l’arabo che la prese per lavorare a casa sua;

- che rimase a casa dell’uomo arabo per circa un anno, facendo le pulizie; che l’uomo

arabo le disse che con lo stipendio del lavoro che avrebbe svolto da lui, avrebbe pagato

la donna; di non conoscere l’entità del debito;

- che ogni mese la donna veniva a casa dell’arabo per prendere 500 dinari;

- di non sapere perché l’uomo arabo acconsentì che lei lasciasse la Libia; “in quel periodo

c’era la guerra e non volevano vedere i neri. Era marzo 2017”; che “quando la guerra è

iniziata l’arabo ha detto che non poteva più tenermi lì e mi ha portata in una casa vicino

al mare dove” lei “aspettò di essere imbarcata”; che, finchè si trovava nella casa vicino

al mare, fu raggiunta dalle telefonate della donna che le chiedeva di saldare il debito, che

l’arabo non aveva estinto;

- che, arrivata in Italia, ha perso i contatti con la donna, avendo spezzato la sim card del

telefono.

Con riguardo al suo timore in caso di rimpatrio, ha dichiarato: “Quella donna nigeriana

sicuramente saprebbe che sono arrivata in Nigeria”.

Quanto alla sua presenza in Italia, ha dichiarato di vivere a Rovereto, in accoglienza e di avere

un ragazzo nigeriano a Napoli.

§ Il diniego della Commissione territoriale

La Commissione territoriale ha considerato le dichiarazioni della ricorrente “non

sufficientemente circostanziate e globalmente credibili”, ritenendo “in particolare: vaga e non

circostanziata la narrazione in alcuni punti, segnatamente, nella parte in cui ha riferito di aver

trascorso un anno a casa dell’arabo che era intervenuto in suo aiuto contro la donna nigeriana

che l’aveva condotta in Libia; altrettanto vaga la narrazione nella parte in cui l’istante ha riferito

sulle sue attuali frequentazioni in Italia; scarsamente verosimile che l’uomo arabo abbia

accettato di saldare il debito per la richiedente chiedendo in cambio solo il suo lavoro come

donna delle pulizie e l’abbia poi fatta successivamente imbarcare senza chiederle nulla in

cambio”.

La Commissione ha ritenuto “non fondato il timore della richiedente dal momento che la donna

nigeriana che costituisce la sua unica fonte di minaccia, si trova in Libia ed inoltre, in ipotesi di

rimpatrio, la richiedente, che non ha più alcun legame con la città di Benin City, dov’è stata

scelta dalla madame che attualmente la minaccia, dovrebbe fare ritorno nel suo villaggio natale,

in Delta State, ove risiede la famiglia del padre, con cui, a tutt’oggi, ha ancora contatti”.

La Commissione ha rilevato che “la richiedente, cui è stata resa l’informativa sulle misure poste

in essere dallo Stato italiano contro la tratta di essere umani a scopo di sfruttamento sessuale o

lavorativo e le procedure di referral ha dichiarato di non essere vittima di pressioni o violenze

di tal genere, di non avere timori rispetto alla restituzione del debito che nessuno reclama in

Italia, ma solo in Libia”.

La Commissione ha quindi ritenuto che dalle dichiarazioni della “richiedente non sono emersi

elementi riconducibili ai presupposti di persecuzione diretta e personale previsti dall’art. 1, lett.

A, 2) della Convenzione di Ginevra e dagli artt. 5, 7 e 8 del D.Lgs. 19/11/2007 n. 251 per il

riconoscimento dello status di rifugiato, in quanto non è dimostrato il fondato timore della

persecuzione per motivi di religione, razza, nazionalità, opinione politica, a appartenenza ad un

determinato gruppo sociale”.

Ha poi escluso la presenza di un “rischio effettivo di grave danno” ai sensi delle lettera a) e b)

dell’art. 14 del D. Lgs. 251/2007. Inoltre, la Commissione ha dichiarato non sussistere nella

zona di provenienza del ricorrente, una situazione qualificabile come contesto di violenza

indiscriminata all’interno di conflitto armato, escludendo anche l’ipotesi di protezione

sussidiaria di cui alla lettera c), citando fonti sul Paese di origine.

Infine, ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione nazionale.

§ I motivi del ricorso

Nel ricorso, la difesa ha sostenuto che la ricorrente sia vittima di tratta di esseri umani; ha

evidenziato gli indici della tratta; ha citato, a riscontro, fonti sulla Nigeria e ha chiesto il

riconoscimento dello status di rifugiata e, in subordine, le altre forme di protezione.

§ Le udienze

All’udienza del 12 luglio 2022, svolta dal giudice onorario delegato, la ricorrente ha confermato

le dichiarazioni già rese e ha affermato avere “paura della signora e di temere di essere uccisa”.

Alla successiva udienza del 6 dicembre 2022, la ricorrente ha dichiarato di vivere a Rovereto in

via XXX, in un appartamento di un progetto, dell’associazione Atas, con altre tre

donne della Nigeria; di essere arrivata in Italia, nell’aprile 2017 e di essere nata il 9 aprile 1991

e non nel 1995 come risultante dalla domanda di protezione; di provenire dal Delta State, città

di Kwale, dove si trovano i cugini.

Alla successiva udienza del 20 dicembre 2022, la ricorrente ha dichiarato, con riferimento al

compagno nigeriano che vive a Napoli, che la relazione con questo uomo: “E’ durata un anno e

mezzo. (…) Andavo a trovarlo con il flixbus e lui veniva a prendermi alla fermata. (…) Lo

conoscevo già in Nigeria. Lui era il mio boyfriend. Lui è di Kwale. Lui venuto in Italia prima di

me”; di avere attualmente un ragazzo che si chiama “Friday”; di averlo “incontrato su

Facebook”; che lui vive ad Asti; di essere “andata a trovarlo una volta, prendendo il treno, da

Rovereto per poi passare a Verona, poi da Verona a Milano, da Milano a Torino e da Torino ad

Asti”; che lavora nell’agricoltura”.

Alla stessa udienza è stata assunta, come informatrice, la signora Silvia Valduga, operatrice

sociale del progetto Atas Onlus, in cui è accolta la ricorrente, la quale ha dichiarato che “Esther

è alloggiata in via della Terra a Rovereto in una convivenza con altre tre donne e due bambini

figli di due donne diverse; sono tutte donne della Nigeria. Le due donne (…) hanno dei

compagni stabili che si prendono cura dei figli, pur non essendo nel progetto di accoglienza. Le

persone vivono nella struttura in autonomia”. Ha dichiarato di conoscere bene Esther che “si è

molto affidata a noi ed è sempre stata positiva nella convivenza ed ha aderito al progetto, anche

per i turni di pulizie”; che “prima del lock down stava frequentando a Trento un corso del fondo

sociale europeo che è stato interrotto a causa della pandemia; (…) trovato poi un lavoro presso

un albergo di Torbole da aprile del 2022 e che va da sola con l’autobus presso il luogo di

lavoro”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso che l’opposizione al provvedimento di diniego della Commissione territoriale non

è, tecnicamente, un’impugnazione, perché l’autorità giudiziaria non è vincolata ai motivi di

opposizione ma è chiamata a un completo riesame nel merito della domanda di protezione

internazionale avanzata ed esaminata in sede amministrativa.

L’opposizione verte sul diritto della ricorrente di vedersi riconoscere lo status di rifugiato o la

protezione sussidiaria a norma del D.Lgs. n. 251 del 19/11/2007, ovvero ancora il diritto al

rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie o per protezione speciale ex art. 5

co. 6 e 19.1.1. T.U.I.

La domanda di riconoscimento dello status di rifugiata e fondata e merita accoglimento.

§ Della tratta degli esseri umani

La pratica della tratta degli esseri umani è proibita dal diritto internazionale e punita penalmente

dalle previsioni normative nazionali di un numero crescente di Paesi.

La definizione di tratta risale al 1926 e si rinviene nell' art. 1, n. 2, della Convenzione di

Ginevra 25.9.1926 (resa esecutiva con R.D. 26 aprile 1928, n. 1723), in base al quale : "La

tratta comprende ogni atto di cattura, acquisto o cessione di individuo per ridurlo in schiavitù;

ogni atto di acquisto di uno schiavo per venderlo o scambiarlo; ogni atto di cessione per vendita

o scambio di uno schiavo acquistato, per essere venduto o scambiato, come pure, in genere,

ogni atto di commercio o di trasporto di schiavi". La norma antica ricomprende, dunque, nella

tratta diverse azioni volte alla riduzione in schiavitù o allo sfruttamento della schiavitù.

Tra gli strumenti internazionali più recenti, volti a combattere la tratta, per prevenire il

fenomeno e punirlo soprattutto quando è diretto contro persone vulnerabili quali donne e

bambini, va menzionata la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata

del 2000, ratificata dall'Italia con L. 16 marzo 2006, n. 146 (la cosiddetta Convenzione di

Palermo) ed in particolare il Protocollo alla Convenzione1

; quest’ultimo all’articolo 3, definisce

il fenomeno della tratta come: “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o

accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di

coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o

tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona

che ha autorità su un’altra (…)”. Il fine della tratta, ossia lo sfruttamento della vittima, può

dunque realizzarsi con diverse pratiche e azioni, tra le quali “lo sfruttamento della prostituzione

altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o

pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Tale definizione permette quindi di

individuare distintamente le azioni caratterizzanti il fenomeno, i mezzi attraverso i quali esso si

realizza e lo scopo ultimo che ne sta alla base.

L’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nelle “Linee guida per

l’identificazione delle vittime di tratta tra i richiedenti protezione internazionale e procedure di

referral” (edizione del 2021, pagina 20) evidenzia che, alla luce della definizione del

Protocollo, il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante nei casi in cui sono utilizzati

i mezzi coercitivi elencati dalla norma e che, comunque, il reclutamento, il trasporto, il

trasferimento, l’ospitalità o l’accoglienza di un bambino ai fini di sfruttamento sono considerati

tratta di persone anche se non comportano l’utilizzo di nessuno di tali mezzi coercitivi.

Questa posizione dell’Alto Commissariato riflette la considerazione della situazione di

“vulnerabilità” della persona sottoposta a tratta: se la persona è “vulnerabile”, il consenso alla

tratta è irrilevante perché la persona non è nella condizione, a causa della sua fragilità, di

opporre resistenza alle azioni coercitive; se poi la persona è estremamente “vulnerabile”, come

nel caso dei bambini, non è nemmeno necessaria un’azione di coercizione, essendo sufficiente

un’azione finalizzata allo sfruttamento.

Questi concetti, che hanno origine dalla Convenzione di Palermo, sono stati recepiti dal diritto

dell’Unione europea. Ciò è particolarmente importante per questo procedimento, perché la

protezione internazionale si colloca nell’ambito del sistema comune europeo dell’asilo (CEAS).

La Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011,

concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle

vittime, definisce la tratta come: "il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o

l'accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell'autorità su queste

persone, con la minaccia dell'uso o con l'uso stesso della forza o di altre forme di coercizione,

con il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di potere o della posizione di vulnerabilità o con

l'offerta o l'accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una

persona su un'altra, a fini di sfruttamento". La norma mette dunque in evidenza che la tratta si

può realizzare non solo con la coercizione ma anche con la frode e addirittura con l’abuso di

posizione di vulnerabilità.

La Direttiva consegna, inoltre, per la prima volta una definizione normativa di "posizione di

vulnerabilità" ( art. 2, comma 2), per la quale “si intende una situazione in cui la persona in

questione non ha altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima".

Con riguardo al nostro caso, si deve osservare che, a determinare la “posizione di vulnerabilità”

concorrono non solo il fatto di essere donna di giovane età ma anche il contesto familiare e

1 Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata

transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini.

7

sociale di provenienza: la ricorrente proviene infatti da una situazione di povertà e di

analfabetismo.

§ Dello status di rifugiato

Per il riconoscimento dello status di rifugiato è necessario, secondo il D.lgs. n. 251/2007 che sia

adeguatamente dimostrato “un fondato timore” della ricorrente di subire:

- atti persecutori come definiti dall’art.72

;

- da parte dei soggetti indicati dall’art. 53

;

- per motivi riconducibili alle ampie definizioni di cui all’art. 84

.

La difesa della ricorrente pone dunque a fondamento della domanda di protezione la

condizione della donna di essere vittima di tratta a fini sfruttamento sessuale, nel Paese di

origine e nei Paesi di transito; in questo contesto gli atti persecutori (articolo 7) consistono nel

rischio di ricadere nella tratta o comunque in una situazione di grave discriminazione sociale e

di emarginazione nel caso di rientro in Nigeria, nell’impossibilità di ottenere la protezione da

parte delle autorità della Nigeria (articolo 5).

Quanto al motivo di persecuzione, esso consiste nell’appartenenza al “particolare gruppo

sociale” delle donne vittime di tratta, nell’Edo State in Nigeria, dove si trova Benin City da cui

la donna è partita per il suo viaggio verso l’Italia.

In base alla lettera d) dell’art. 8 del D. Lgs. 251/2007, "particolare gruppo sociale": è quello

costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune, che non

può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per

l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, ovvero

quello che possiede un'identità distinta nel Paese di origine, perchè vi è percepito come diverso

dalla società circostante”.

Per una migliore valutazione dell’appartenenza ad uno speciale gruppo sociale delle vittime di

tratta provenienti da alcune zone dell’Africa subsahariana, soccorrono le già citate linee guida

dell’ UNHCR che, al paragrafo 395

, evidenziano che le vittime e potenziali vittime di tratta

possono essere considerate un gruppo sociale basato sull’immutabile, comune e storica

caratteristica di essere state vittime di tale pratica. Tale caratteristica potrebbe essere infatti

riconosciuta come tratto distintivo di un particolare gruppo ed esporre coloro che ne fanno

parte, una volta individuati, al rischio di gravi ritorsioni per mano degli sfruttatori dopo la fuga

e/o al ritorno o ancora a condizioni di emarginazione e discriminazione da parte della società o

2 Come definiti dall’art. 7: si deve trattare di atti sufficientemente gravi, per natura e frequenza, tali da

rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse

misure, il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti.

3 Stato, partiti o organizzazioni che controllano lo Stato o gran parte del suo territorio, soggetti non statuali se

i responsabili dello Stato o degli altri soggetti indicati dalla norma non possano o non vogliano fornire

protezione.

4 Gli atti di persecuzione devono essere riconducibili a motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a

un particolare gruppo sociale, opinioni politica.

5 UN High Commissioner for Refugees (UNHCR), Guidelines on International Protection No. 7: The

Application of Article 1A(2) of the 1951 Convention and/or 1967 Protocol Relating to the Status of Refugees

to Victims of Trafficking and Persons At Risk of Being Trafficked, 7 April 2006, HCR/GIP/06/07, available

at: https://www.refworld.org/docid/443679fa4.html , “39. Former victims of trafficking may also be

considered as constituting a social group based on the unchangeable, common and historic characteristic of

having been trafficked. A society may also, depending on the context, view persons who have been trafficked

as a cognizable group within that society. Particular social groups can nevertheless not be defined

exclusively by the persecution that members of the group suffer or by a common fear of persecution. It

should therefore be noted that it is the past trafficking experience that would constitute one of the elements

defining the group in such cases, rather than the future persecution now feared in the form of ostracism,

punishment, reprisals or re-trafficking. In such situations, the group would therefore not be defined solely by

its fear of future persecution”.

comunità di provenienza. Le linee guida rimarcano che negli specifici casi che riguardano la

tratta di esseri umani l’elemento della passata esperienza di tratta, e quindi di persecuzione,

costituisce, ancor più rispetto alla persecuzione futura temuta, l’elemento distintivo che

definisce il gruppo sociale. La tratta si radica, dunque, su una condizione di vulnerabilità in cui

si trovano le donne di certi territori dell’Africa, specie se giovani, povere e prive di valido

supporto familiare; questa condizione di vulnerabilità fa parte di una una caratteristica innata o

una storia comune che non può essere mutata, per l'appartenenza al genere di donne di quella

specifica provenienza sociale.

§ Dell’acquisizione dei fatti e dell’attività istruttoria.

In conformità con il principio di diritto affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea,

terza Sezione, in causa C -560/2014, sentenza resa il 9 febbraio 2017, punto 57, secondo cui:

“deve tuttavia essere organizzato un colloquio quando circostanze specifiche, che riguardano

gli elementi di cui dispone l’autorità competente oppure la situazione personale o generale in

cui si inserisce la domanda di protezione sussidiaria, lo rendano necessario al fine di

esaminare con piena cognizione di causa tale domanda…”, il giudice, a fronte di evidenti indici

di “tratta di esseri umani”, ha ritenuto necessario raccogliere ulteriori informazioni sia con

riferimento alla vicenda personale della ricorrente nel Paese di origine e nei Paesi di transito sia

in merito alla condizione della stessa in Italia e ha disposto il rinnovo del colloquio personale.

§ Della valutazione di credibilità

In mancanza di prove precostituite, va condotto l’esame della credibilità delle dichiarazioni

rese dalla ricorrente, in conformità alle prescrizioni dell’articolo 3 comma 5 del D: Lgs.

251/2007.

Nell’effettuare la valutazione di credibilità, è utile tenere in considerazione le Linee guida

dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) n. 7, relative

all’applicazione dell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e/o del Protocollo del 1967

relativi allo status dei rifugiati alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta.

Va, poi, premesso che il trauma derivante dal vissuto e dalla condizione di sfruttamento, in

molti casi ancora attuale e presente al momento della richiesta di protezione, rende

estremamente difficile e doloroso per la richiedente aprirsi di fronte all’autorità che procede e

rivelare il suo vero vissuto. Come indicato nelle sopra citate linee guida dell’UNHCR, è di

conseguenza importante che l’intervistatore tenga in considerazione tali circostanze, incluso il

timore di ritorsione da parte di chi su esercita il controllo sulla vittima7 o ancora la vergogna

patita dalla persona per l’accaduto.

Partendo dalla definizione del Protocollo alla Convenzione di Palermo, l’Alto Commissariato

ha individuato distintamente le azioni caratterizzanti il fenomeno, i mezzi attraverso i quali

esso si realizza e lo scopo ultimo che ne sta alla base, raccogliendoli nelle Linee Guida per

l’identificazione delle vittime di tratta, elaborate dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo in collaborazione appunto con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati

e

riguardanti, per quanto rileva per il caso in esame, tre diversi aspetti del fenomeno:

1) le condizioni personali della vittima in Nigeria

2) il viaggio e le esperienze nei Paesi di transito;

3) le attuali condizioni nel Paese di destinazione, nel nostro caso l’Italia.

Dalla vicenda e dal racconto della ricorrente emergono dunque numerosi elementi che

corrispondono agli indicatori della tratta individuati dalle linee guida nell’ambito dei tre aspetti

sopra evidenziati.

1) Per quanto riguarda le condizioni personali della donna in Nigeria, sono presenti nel

racconto i seguenti elementi che riportano direttamente ad un’esperienza di tratta:

• regione di provenienza: la ricorrente, nigeriana e originaria del Delta State e proviene

dall’Edo State, Paese e zone particolarmente esposte al fenomeno della tratta di esseri

umani.

• Contesto di provenienza: la ricorrente proviene da un contesto familiare e sociale

problematico; è una ragazza molto giovane; è giunta in Italia in condizioni di

analfabetismo; ha dichiarato di avere perso il padre in circostanze violente e di essersi

pertanto trovata con la madre in una situazione di povertà.

• Tratta a fini di sfruttamento sessuale in Africa: la ricorrente ha raccontato con precisione

la tratta a fini di sfruttamento sessuale patita in Africa, per l’intermediazione di una

madame Nigeriana, che l’ha reclutata con una falsa promessa di lavoro per avviarla alla

prostituzione presso una connection house in Libia, gestita dalla donna. Lo sfruttamento

sessuale non si è poi materializzato per l’opposizione della ragazza che, per questa

ragione, ha subito violenza per essere poi soggetta a sfruttamento lavorativo.

2) Con riferimento all’esperienza di uscita dalla Nigeria e all’arrivo in Europa, attraverso

Niger e Libia, il viaggio da lei descritto, con una certa precisione, presenta le

caratteristiche tipiche delle rotte utilizzate dalle organizzazioni criminali dedite alla

tratta. Le fonti riferiscono che: ““[...] la rotta prevalente e più collaudata sembra essere

quella che porta le vittime ad attraversare la Nigeria in minibus (attraverso lo Stato di

Kano, nella Nigeria settentrionale), quindi il confine con il Niger in auto, a piedi o in

moto, per arrivare infine ad Agadez (in Niger) in camion. Da Agadez, le donne

intraprendono un viaggio pericoloso attraverso il deserto del Sahara fino a giungere a

città libiche come Zuwarah, Sabha o Tripoli. Da Tripoli e dalla costa libica occidentale,

le vittime vengono portate via mare in Italia (Lampedusa) o a Malta10

”. Si tratta del

viaggio effettuato, con modalità e percorsi pressochè identici, dalla ricorrente.

3) E’ inoltre presente un ulteriore indicatore indicatori tipico di situazioni di viaggio di

donne “trattate”, ossia la presenza di un benefattore o sponsor alla partenza e contrazione

di un debito. La donna racconta che sarebbe stata costretta a ripagare il debito a lei

“addossato” dalla madame per il viaggio, con lo sfruttamento lavorativo presso un uomo

arabo che pagava ogni mese i 500 dinari, costituenti il corrispettivo del suo lavoro, alla

sfruttatrice

9 Ministero dell’Interno, Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo e UNHCR, L’identificazione delle

vittime di tratta tra i richiedenti protezione internazionale e procedure di referral - Linee Guida per le

Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, https://www.unhcr.org/it/wpcontent/uploads/sites/97/2021/01/Linee-Guida-per-le-Commissioni-Territoriali_identificazione-vittime-ditratta.pdf , Informazioni sui paesi di origine – Nigeria: La tratta di donne a fini sessuali, ottobre 2015,

https://www.ecoi.net/en/file/local/1305206/1226_1457689194_bz0415678itn.pdf, pagina 34, fonte

secondaria che riporta informazioni contenute in numerose fonti primarie.

La ricorrente ha dunque riferito i il contesto familiare, il reclutamento con le relative modalità e

la falsa promessa, il viaggio, le condizioni di sfruttamento in Libia, il debito e la paura della

sfruttatrice con precisione e con coerenza, mantenendo sempre la stessa versione dei fatti.

La motivazione del diniego da parte della Commissione è oscura; non è infatti chiaro se essa

consideri il racconto della donna credibile o non credibile; essa infatti non analizza la storia

della ricorrente ma effettua qualche sommaria considerazione sulla sua permanenza presso

l’abitazione dell’uomo arabo. Essa ha tuttavia cercato di avviare la donna alle procedure di

referral per l’emersione della tratta di essere umani, con ciò indirettamente dimostrando di

avere creduto al racconto di tratta,

Alla luce di tali considerazioni, l’esame della credibilità delle dichiarazioni, condotto a norma

dell’articolo 3 comma 5 del D.Lgs, 251/2007, si conclude in senso positivo e il collegio ritiene

credibile il racconto della ricorrente. La stessa ha infatti ha reso dichiarazioni circostanziate e

compiuto ogni ragionevole sforzo per riferire della tratta a fini di sfruttamento sessuale subita in

Africa (lettera a dell’articolo 3 comma 5), nonostante le difficoltà nel riferire un vissuto così

traumatico; ha ricostruito la storia in termini coerenti, sia internamente sia con riguardo alle

informazioni contenute nelle fonti di informazione (lettera c). Dal racconto non emergono

contraddizioni o incongruenze talmente gravi da inficiare un racconto che appare, per ciò che

rileva ai fini della domanda di protezione, complessivamente credibile (lettera e).

In considerazione del quadro rappresentato, il collegio ritiene di identificare la ricorrente come

vittima di tratta, categoria vulnerabile ai sensi dell’articolo 2 comma 1 lettera h-bis) del D.Lgs.

25/2008, come modificato dall’articolo 25 comma 1 lettera b) numero 1) del D.Lgs. 142/2015.

Le vittime, o potenziali vittime, di tratta rientrano nell’ambito di applicazione della definizione

di rifugiato a condizione che siano soddisfatti tutti i criteri di cui all’articolo 1A(2) del D.Lgs.

251/2007.

A tale riguardo, concluso l’esame di credibilità e accertata la persecuzione passata, è necessario

procedere con la valutazione della fondatezza del timore di persecuzione e del rischio in caso di

rientro, anche alla luce della protezione offerta dalla Nigeria.

Secondo l’articolo 3 comma 4 del D. Lgs. 251/2007, la persecuzione subita in passato, seppur

non in termini assoluti sinonimo di persecuzione futura, costituisce in ogni caso un serio indizio

della fondatezza del timore. Nel presente caso, non solo la ricorrente è stata certamente vittima

di persecuzione in passato.

Quanto all’ipotesi di ottenere protezione da parte delle autorità del Paese di origine, le fonti

indicano che l’apparato statale nigeriano, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni per

combattere il fenomeno in questione, non è in grado ancora di garantire adeguata tutela a chi è

stato vittima di tratta e rientra nel Paese

. I diversi strumenti adottati comprendono, per

esempio, la firma del Protocollo di Palermo, l’adozione dell’Edo State Criminal Code

(Amendement Law) 2000 o la creazione della National Agency for the Prohibition of Trafficking

in Persons (NAPTIP), introdotta dal Trafficking in Persons (Prohibition) Law Enforcement and

Administration Act 200312

. Tuttavia, ciò che risulta carente, a causa dell’assenza di adeguati

finanziamenti a sostegno degli strumenti sopra elencati, è un sistema che permetta la

reintegrazione nel tessuto sociale delle vittime di tratta che fanno rientro in Nigeria, nonché un

meccanismo in grado di offrire loro garanzie di effettiva protezione dalle azioni delle reti

criminali.

Sulla base di tali indicazioni, è possibile concludere che la condizione della ricorrente, donna

vittima di atti persecutori nella forma della tratta di esseri umani e sfruttamento sessuale,

rientra, per le ragioni sopra esposte, nella più ampia nozione di “specifico gruppo sociale”.

All’esito dell’esame condotto, secondo un giudizio di tipo prognostico, se la ricorrente fosse

rimpatriata in Nigeria in condizioni di estrema vulnerabilità e priva di un adeguato sistema di

tutela, potrebbe nuovamente subire persecuzione, discriminazione ed emarginazione, aggravate

da quanto già sofferto in passato, nella forma di atti di violenza fisica, psichica e sessuale da

parte della rete di sfruttamento, e ciò in considerazione del fatto che: si tratta di una donna sola,

ancora giovane, priva di contesto familiare e di una rete di riferimento; queste caratteristiche

individuali sono sufficienti, alla luce di quanto sopra evidenziato, a pronosticare un alto rischio

di emarginazione sociale e quindi una forte esposizione al rischio di ri-traffico.

Tali circostanze integrano, pertanto, i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Restano assorbite nel riconoscimento dello status di rifugiato, le domande di riconoscimento

della protezione sussidiaria e della protezione nazionale.

§ Le spese di lite

Nulla sulle spese essendo la ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non

risultando applicabile, nella specie, l’art. 133 TU 115/02 (Cass. 18583/12).

Si provvede con separato decreto contestuale, ai sensi dell’art. 83 co. 3-bis TU 115/02, alla

liquidazione dei compensi in favore del difensore.

P.Q.M.

- riconosce a XXX, lo status di rifugiato ex artt.7 e ss. D.L.gs. n.

251/2007;

- nulla sulle spese.

Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti.

Trento, 31 gennaio 2023

Il Presidente estensore

Dott. Luca Perilli

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